Euronote – Una folle corsa al riarmo

La spesa militare globale ha superato la cifra record di 2000 miliardi di dollari

Milano, 2.5.2022

«Ma se la spesa militare potesse davvero fornirci sicurezza, non l’avremmo già raggiunta?» sostiene la Campagna internazionale contro le spese militari, affermazione che bene descrive la grave situazione internazionale attuale in relazione agli ultimi dati pubblicati in questi giorni dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri).

Il rischio di una guerra mondiale coincide infatti con il livello più elevato mai registrato di spese militari globali, che nel 2021 hanno superato il tetto dei duemila miliardi di dollari raggiungendo la cifra record di 2113 miliardi. Una spesa aumentata per il settimo anno consecutivo e che in questo 2022 crescerà ulteriormente in modo sensibile, dati gli stanziamenti già annunciati da tutti i principali protagonisti di questa follia collettiva. Stati Uniti, Cina, India, Regno Unito e Russia insieme rappresentano il 62% della spesa complessiva, mentre la spesa dei Paesi della Nato equivale al 55% del totale globale.

Spese militari ai massimi storici

Con 801 miliardi di dollari nel 2021, la spesa militare statunitense è di gran lunga la più elevata del mondo, rappresentando ben il 38% della spesa globale e con un’incidenza del 3,5% sul Pil statunitense. I finanziamenti degli Usa per la ricerca e lo sviluppo (R&S) militari sono aumentati del 24% tra il 2012 e il 2021, cosa che secondo il Sipri «suggerisce che gli Stati Uniti si stanno concentrando maggiormente sulle tecnologie di prossima generazione», con un governo statunitense che ha «ripetutamente sottolineato la necessità di preservare il vantaggio tecnologico dell’esercito americano rispetto ai concorrenti strategici».

La Cina è il secondo massimo investitore militare al mondo (14% della spesa globale), con uno stanziamento di circa 293 miliardi di dollari per spese militari nel 2021 e un aumento del 4,7% rispetto all’anno precedente, segnando così il 27° anno consecutivo di crescita della spesa militare cinese, cosa che ha provocato un conseguente aumento delle spese militari di competitor regionali come il Giappone (che nel 2021 ha fatto registrare l’aumento annuale più alto dal 1972) e l’Australia (che ha siglato con Usa e Regno Unito l’accordo trilaterale Aukus per ricevere la fornitura di otto sottomarini a propulsione nucleare con un costo stimato di 128 miliardi di dollari).

Usa e Cina sono seguito a distanza per spese militari da India, Regno Unito e Russia, i cui budget militari sono in aumento ma che si attestano comunque a circa un quarto della spesa militare cinese e a meno di un decimo di quella statunitense.

La Russia nel 2021 ha aumentato le sue spese militari del 2,9% portandole a 65,9 miliardi di dollari, molto probabilmente in vista di una guerra programmata dal momento che stava rafforzando le sue forze lungo il confine ucraino. Si è trattato del terzo anno consecutivo di crescita per la spesa militare russa, che ha raggiunto il 4,1% del Pil. Il Sipri nota che la linea di bilancio per la “difesa nazionale”, che rappresenta circa i tre quarti della spesa militare totale della Russia e comprende i finanziamenti per i costi operativi e l’approvvigionamento di armi, è stata rivista al rialzo nel corso dell’anno con un aumento del 14% rispetto a quanto previsto alla fine del 2020.

Dare un budget alla pace

A fronte di tutti questi investimenti in armamenti e spese militari, basta osservare la situazione attuale per capire come i conti non tornino assolutamente. «La spesa militare collettiva dei membri della Nato, che è 18 volte quella della Russia, non ha impedito al presidente Putin di invadere l’Ucraina. Tuttavia, i suoi Stati membri si sono impegnati a dedicare il 2% del loro Pil alle spese militari in risposta alla guerra di aggressione della Russia. Dovrebbe essere ormai ovvio che i Paesi che cercano di superarsi a vicenda acquistando armi di tutte le dimensioni non contribuiscono a una strategia di difesa e sicurezza adeguata. Non ha funzionato in passato e non lo farà mai». È quanto afferma la Campagna globale sulla spesa militare (Gcoms), cui aderiscono oltre 100 organizzazioni di 35 Paesi, tra le quali la Rete Italiana Pace e Disarmo e la campagna italiana Sbilanciamoci, e che in queste settimane celebra le Giornate globali di azione per la riduzione delle spese militari (Gdams, 13 aprile-12 maggio).

Obiettivo della campagna è aumentare la consapevolezza e cambiare il “discorso” sulla spesa militare, andando a incidere sul processo decisionale di bilancio, soprattutto a livello nazionale, in modo che le risorse siano riallocate alle effettive esigenze umane e ambientali. Perché mentre aumentano le spese militari la costruzione della pace è enormemente sottofinanziata e l’azione necessaria per affrontare le varie emergenze globali è pericolosamente trascurata.

La campagna sostiene la riallocazione dei finanziamenti pubblici ai settori della pace e del disarmo, nonché ai servizi pubblici come la sanità e l’istruzione. Sono individuate «cinque direzioni» in cui le risorse militari potrebbero essere ricanalate attraverso diversi campi d’azione: pace, disarmo, prevenzione e risoluzione dei conflitti, sicurezza umana; sviluppo sostenibile e programmi contro la povertà; cambiamenti climatici e perdita di biodiversità; programmi sociali, diritti umani, uguaglianza di genere e creazione di posti di lavoro “verdi”; sforzi umanitari per assistere rifugiati, migranti e altre popolazioni vulnerabili.

«Le spese militari non ci tengono al sicuro e impediscono la collaborazione globale essenziale per il benessere umano» sostengono i gruppi che aderiscono alla Campagna, chiedendo alla società civile e ai media di spingere per forti riduzioni delle spese militari anziché gli aumenti annunciati in queste ultime settimane. «Chiediamo che i governi riducano le loro spese militari e impegnino invece finanziamenti per la sicurezza comune e umana, investendo nei veri bisogni delle persone e del pianeta per costruire una pace giusta e sostenibile» afferma la Campagna, centrata sullo slogan Give peace a budget, nella convinzione che «per dare una possibilità alla pace, dobbiamo darle un bilancio».