Milano, 31.5.2016
Una piattaforma europea contro il lavoro sommerso
Iniziativa per contrastare un fenomeno che danneggia i lavoratori e l’economia
L’Unione europea ha deciso di rafforzare l’azione comune per contrastare il lavoro sommerso e non dichiarato in Europa, fenomeno ampiamente diffuso che si stima equivalga a circa il 20% del Pil europeo. Il 27 maggio è infatti stata presentata dalla Commissione europea una nuova piattaforma, creata per «fornire un valore aggiunto a livello di Unione» al fine di «contribuire ad affrontare il complesso problema del lavoro non dichiarato, nel pieno rispetto delle competenze e procedure nazionali».
Tre i principali obiettivi dell’iniziativa, concordata dalle istituzioni dell’Ue: rafforzare la cooperazione per contrastare in modo più efficiente ed efficace il lavoro non dichiarato nelle sue varie forme e il lavoro falsamente dichiarato ad esso associato, compreso il lavoro autonomo fittizio; migliorare la capacità delle autorità e dei soggetti competenti degli Stati membri di contrastare il lavoro non dichiarato nei suoi aspetti transfrontalieri; sensibilizzare l’opinione pubblica e incoraggiare gli Stati membri a intensificare gli sforzi per contrastare il lavoro non dichiarato.
A rischio i diritti dei lavoratori e la protezione sociale
Secondo la definizione della Commissione europea, è lavoro non dichiarato «qualsiasi attività retribuita lecita di per sé ma non dichiarata alle autorità pubbliche», una pratica che «danneggia l’economia dell’Unione, provoca concorrenza sleale, mette a rischio la sostenibilità finanziaria dei modelli sociali dell’Ue e si traduce in una crescente mancanza di protezione sociale e occupazionale per i lavoratori» ha affermato in una decisione il Parlamento europeo.
La natura del lavoro sommerso varia a seconda del contesto economico, amministrativo e sociale dei vari Paesi ed essendo definito in modo diverso dalle normative nazionali non esistono dati precisi sul fenomeno ma solo stime, secondo le quali costituisce comunque una parte significativa dell’economia dell’Ue. Oltre ad avere effetti negativi sull’occupazione e sulla produttività ed effetti distorsivi in materia di pari condizioni per tutti, il lavoro non dichiarato ha gravi implicazioni per i lavoratori che si trovano a dover accettare condizioni di lavoro precarie e talvolta pericolose, retribuzioni inferiori, gravi violazioni del diritto del lavoro e livelli fortemente ridotti di tutele, che privano tali lavoratori delle adeguate prestazioni sociali, dei diritti pensionistici e dell’accesso all’assistenza sanitaria, nonché delle opportunità di sviluppo delle competenze e di apprendimento permanente.
Il lavoro non dichiarato incide poi sul bilancio pubblico, poiché comporta una riduzione del gettito fiscale e una perdita di contributi previdenziali, mettendo così a rischio la sostenibilità finanziaria dei sistemi di protezione sociale.
La piattaforma per rafforzare la cooperazione europea
Serve dunque una stretta collaborazione tra Paesi e tra soggetti che a vari livelli e a vario titolo possono contrastare la diffusione del lavoro sommerso. Questo il senso della piattaforma, che è composta da un rappresentante ad alto livello nominato da ciascuno Stato membro, un rappresentante della Commissione e quattro rappresentanti delle parti sociali intersettoriali a livello di Unione. Potranno inoltre assistere alle riunioni come osservatori, e «i loro contributi saranno tenuti in debita considerazione»: un massimo di 14 rappresentanti delle parti sociali dei settori con un elevato tasso di lavoro non dichiarato, un rappresentante di Eurofound (Fondazione dell’Ue per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro), uno dell’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro (Eu-Osha), uno dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil-Ilo) e uno di ciascun Paese terzo aderente allo Spazio economico europeo. La piattaforma incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri mediante lo scambio di migliori prassi e di informazioni, lo sviluppo di competenze e di analisi, la promozione di approcci innovativi a una cooperazione transfrontaliera efficace ed efficiente, il contributo a una «comprensione orizzontale» delle questioni relative al lavoro non dichiarato. Centrali saranno le attività di raccolta dati, di analisi comparativa e comprensione dei sistemi e delle prassi, di monitoraggio dell’efficacia delle misure di contrasto, di circolazione delle informazioni e di sensibilizzazione.
Ces: «Un’iniziativa attesa da tempo»
La Confederazione europea dei sindacati (Ces) ha ricordato come quella della piattaforma sia «un’iniziativa attesa da tempo per affrontare lo sfruttamento dei lavoratori e la concorrenza sleale per i datori di lavoro rispettosi della legge» e si tratti dunque di un importante passo avanti per affrontare gli aspetti transfrontalieri del lavoro sommerso.
«I lavoratori “in nero” vengono sfruttati e hanno bisogno di protezione e aiuto per regolarizzare la loro occupazione in posti di lavoro dignitosi. La negoziazione e la cooperazione tra sindacati, datori di lavoro e governi è la chiave per risolvere il problema del lavoro sommerso» ha dichiarato Esther Lynch, rappresentante della Ces all’interno della neocostituita piattaforma, secondo cui il problema del falso lavoro autonomo e la proposta di misure concrete per contrastarlo dovrebbero costituire una priorità per la piattaforma.
I sindacati europei ritengono poi che efficaci e indipendenti ispettorati del lavoro, adeguatamente attrezzati e dotati, siano «essenziali» per la corretta applicazione del diritto del lavoro: «I tagli ai bilanci nazionali per l’ispezione del lavoro e la riduzione del numero degli ispettori aprono le porte ai datori di lavoro senza scrupoli. Viceversa, ispettorati del lavoro adeguatamente finanziati e funzionanti forniscono un forte valore aggiunto per i lavoratori, i datori di lavoro rispettosi della legge e il bilancio pubblico».
La Ces auspica quindi che la piattaforma diventi operativa nel più breve tempo possibile, così da fornire presto modalità di azione e strumenti concreti per il contrasto del fenomeno.
La vignetta di maggio 2016