Milano, 18.9.2017
Il regista Andrea Segre si è occupato da sempre di emigrazione sia attraverso i suoi documentari (Come un uomo sulla terra, Il sangue verde, Mare chiuso) che attraverso opere di fiction come nel suo esordio con Io sono Li. Il suo è quindi uno sguardo appassionato ed informato e lo si vede in L’ordine delle cose, da qualche giorno sui nostri schermi. La storia segue un alto funzionario ministeriale alle prese con il compito di trovare un accordo con i libici per far diminuire gli sbarchi dei migranti sulle nostre coste. La difficoltà nasce dal fatto che la Libia non è rappresentata da un unico interlocutore ma da molti capi tribali locali in conflitto tra loro. Poi, come in tutte le fiction, arriva una variabile. In questo caso essa è rappresentata da una ragazza somala che chiede al nostro protagonista di recapitare una microcard ad uno zio che abita a Roma. Ed ecco che alla razionalità del funzionario si oppone la pietà verso le vittime e la necessità di leggere la sua missione non solo come la riduzione degli sbarchi ma anche il rispetto dei diritti umani dei migranti. L’ordine delle cose è un film che entra a piè pari nei temi dell’attualità ponendo il problema prima ancora della possibile soluzione. In un testo edito da Banca Etica sul film il regista afferma chiaramente che la risoluzione dei problemi dipende dalla nostra capacità di definirli ma per definirli bisogna modificare i punti di vista che non sono quelli della paura e neppure quelli della pura razionalità (per non parlare del razzismo strisciante). Un film da vedere e rivedere ma soprattutto da meditare.