Il fuoco della vendetta

Milano, 23.09.2014

Un thriller a volte racconta meglio il declino di un’inchiesta documentaristica. Lo racconta tramite vicende esemplari ma anche attraverso una fotografia sbiadita di un paesaggio coperto da una polvere nera, eredità delle acciaierie oramai in via di estinzione ma ancora troppo presenti nel degrado ambientale e che rappresentano comunque l’unico strumento per sopravvivere da parte della comunità. Questo il merito principale de Il fuoco della vendetta del regista Scott Cooper, presentato alla festa del cinema di Roma ed ora in distribuzione sui nostri schermi , in verità con poca fortuna. Il film ricorda un’altra opera, questa più fortunata, ambientata in parte negli stessi luoghi: Il cacciatore di Michael Cimino che viene anche citato in una sequenza. Siamo infatti a Braddock, una cittadina proletaria della Pennsylvania colpita anche dalla depressione demografica, ove vive Russel Baze, impiegato nell’acciaieria, con un padre malato terminale ed un fratello eterno disoccupato reduce dall’Iraq. La vicenda, naturalmente si individua come tragica fin dalle prime immagini ed il nostro protagonista appare come un povero Cristo che dovrà assumersi tutte le colpe di un mondo violento. Un film comunque convincente che pone il problema delle difficoltà della sopravvivenza in una realtà postindustriale.