Milano, 28.7.2015
REGIA e SCENEGGIATURA: Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne FOTOGRAFIA: Alain Marcoen MONTAGGIO: Marie-Hélène Dozo MUSICHE: Jean-Marie Bylly, Denis M’Punga
INTERPRETI: Jérémie Renier, Olivier Gourmet, Assita Ouedraogo, Rasmane Quedraogo, Hachemi Haddad, Sophie Leboutte, Florian Delain, Lyazzide Bakouche, Frédéric Bodson
PRODUZIONE: Luc Dardenne, Hassen Daldoul, Jacqueline Pierreux, Claude Waringo DISTRIBUZIONE: Lucky Red (1997) DURATA: 92 Min
In Belgio Igor, ragazzo sui quindici anni, non va a scuola, lavora ufficialmente in una officina, ma in realtà passa la giornata ad aiutare il padre Roger nei suoi traffici illegali di manodopera clandestina. Roger affitta misere stanze di un palazzo semidiroccato a uomini e famiglie di extracomunitari (africani soprattutto ma anche asiatici) che non hanno permesso di soggiorno, offre loro lavoro come muratori naturalmente in nero, dando paghe occasionali e pretendendo affitti e pagamenti per qualunque richiesta (acqua corrente, riscaldamento, luce…). Il giovane Igor partecipa con incoscienza a queste losche attività, trovando ogni tanto il tempo per giocare con alcuni coetanei. Un giorno però l’africano Hamidou cade accidentalmente da un’impalcatura e, prima di morire, chiede ad Igor di promettergli di badare alla moglie Assita e al figlioletto Seydou. Igor promette e, mentre il padre nasconde il corpo dentro il cemento e dice ad Assita che il marito è partito, sente crescere in sé un sentimento misto di rabbia e di paura per l’attività del padre. Capisce che Roger vuole spedire Assita in Germania per liberarsene definitivamente e allora, anche andando contro la volontà paterna, fugge con lei, la aiuta a curare il figlioletto malato, la convince a raggiungere alcuni parenti in Italia. Alla stazione Igor avverte che è il momento di dirle la verità sulla morte del marito. I due si guardano in silenzio. Un futuro difficile ma più consapevole aspetta entrambi.
Un esordio importante quello dei fratelli Dardenne: da documentaristi che conoscono la realtà sociale diventano autori di lungometraggi asciutti ma coraggiosi. Un cinema neorealista applicato ad un racconto di formazione “morale” che si impone anche da noi dopo aver vinto la Palma d’Oro ed il Premio Ecumenico della Giuria a Cannes
LA CRITICA
“Quando un film riesce a reggere per tutta la sua durata e a coinvolgere emotivamente lo spettatore senza che vi si senta una sola nota di musica (se non quella goffamente cantata dai protagonisti in un duetto padre e figlio spettacolarmente rivelatore dei loro sentimenti) bisogna prenderlo sul serio: vuol dire che sa parlare in maniera molto convincente. Come La promesse, primo film di due fratelli belgi, Luc e Jean-Pierre Dardenne”. (“la Repubblica”, Irene Bignardi, 30/3/97)
” A suo modo, La promesse è un film d’azione girato con adrenalinica concitazione (la macchina da presa è mobilissima), un thriller “mentale” sulla minaccia e la colpa, un giallo che espone – delitto e castigo, umiliati e offesi – un conflitto psicologico e la cronistoria d’una metamorfosi”. (“Il Messaggero”, Fabio Bo, 25/3/97)
L’asciutta opera prima dei fratelli Dardenne riprende il loro percorso sviluppandolo verso al fiction. I due sanno esattamente cosa farci vedere e cosa tagliare: l’osservazione è, al contempo, antropologica e melodrammatica. Lo stile fermissimo consente agli attori di apparire come presi dalla strada. Intenso e bruciante di rabbia. (FilmTv)
È un film percorso dagli spostamenti di Igor questo primo ingresso nel mondo del cinema di finzione (dopo un importante percorso da documentaristi) dei fratelli Dardenne. Quel suo andare dalla casa al cantiere e da questo all’officina in cui fa il garzone fino al locale con tanto di karaoke in cui sembra poter ritrovare una sintonia con suo padre è indicativo di una ricerca di un baricentro. In assenza di una figura materna e circondato da un universo di solitudini anche Igor è profondamente solo. Finisce così con il trovare in Assita non tanto l’extracomunitaria da assistere in un pamphlet paraumanitario quanto una madre e soprattutto una solitudine a cui tendere la mano. Con un rischio fondamentale: perdere il padre a cui è inevitabile opporsi per mantenere una promessa che al contempo implica fino all’ultimo una omissione. Igor non dice ad Assita che Hamidou è morto perché teme di perderla ma non può rimanere in silenzio per sempre.
In un mondo che sembra ormai anestetizzato nei confronti della sofferenza altrui Igor reagisce e i Dardenne ne seguono la crescita interiore senza lasciarsi mai tentare dal cercare di suscitare nello spettatore una commozione forzata. Il loro è uno stile al contempo partecipe e controllato che viene sostenuto dalle interpretazioni di Olivier Gourmet (destinato a divenire il loro attore feticcio per il quale, magari anche breve, ma c’è sempre un ruolo) e di Jéremie Renier che tornerà ancora con il suo fisico esile e con sua nervosa dinamicità ad abitare il loro cinema. Un cinema che sa come stare dalla parte degli ultimi senza falsi pietismi e senza occultarne le contraddizioni. Un cinema quindi non ‘umanitario’ ma, fin dall’esordio, semplicemente umano. (Giancarlo Zappoli, MyMovies)