Milano, 14.7.2017
Il giovane Brady Corbet, diventato attore di successo per caso all’età di 15 anni, a 26 anni si cimenta con la regia dirigendo L’infanzia di un capo. Come attore si era sempre espresso al meglio in ruoli drammatici e per il suo esordio sceglie la vicenda di un giovane americano che vive a Parigi all’epoca della prima guerra mondiale diviso tra partecipazione a momenti religiosi e scatti d’ira malefici mai amato veramente dai genitori. Il film, ispirato ad una novella di Sartre, non è di facile digestione ma dice molto sulle emozioni di questo XX secolo che è iniziato nell’odio. Un film quindi sulla emotività che viene sottolineata con un uso quasi schizofrenico della macchina da presa. Anche l’immagine (non digitale) è piuttosto sporca e ciò non aiuta il successo della pellicola che pure si è conquistata il Leone del futuro a Venezia ed il consenso della critica. D’altronde il film è stato programmato in poche sale in una stagione estiva che vede molti recuperi delle opere passate nella scorsa stagione con successo. Comunque un film che racconta le ipocrisie degli adulti e gli effetti che hanno sul futuro tragico capo nazista privo di sentimenti.