Neruda

Milano, 24.10.2016
 
Il quarantenne Pablo Larrain è oggi il più innovativo regista cileno e non perde occasione per ricordare le storia del suo paese riflettendo su episodi che, riletti dopo anni, gettano luce diversa su vittorie e fallimenti della sinistra nel paese latinoamericano. Così come in No – I giorni dell’arcobaleno raccontava della vittoria nel referendum anti-Pinochet del 1988 con Neruda affronta un episodio più lontano ma non meno significativo: quello del ruolo del poeta, allora senatore comunista, nella storia politica cilena. E lo fa contrapponendolo ad un poliziotto che gli dà la caccia per ordine del governo stesso, dal momento che l’alleanza con gli Usa portano Videla, pur eletto anche con i voti della sinistra, ad aprire la caccia ai comunisti come farà poi Pinochet (citato qui come comandante di un campo di concentramento) 25 anni dopo. Ne nasce un film sulle illusioni del comunismo a guida sovietica ma soprattutto una storia che coniuga memoria con l’arte del racconto andando oltre il realismo biografico per costruire sequenze quasi oniriche allo scopo di rendere le emozioni. Larrain è un cantore disilluso delle vicende del suo paese del quale legge sia le speranze che le contraddizioni e l’asservimento al potere. L’importanza che assume la figura di Neruda alla fine degli anni ’40 fa sì che tutto ruoti attorno a lui, compreso il suo persecutore, che esiste in sua funzione e come tale è colpito dal fascino del poeta pur non accettando di essere un personaggio secondario del racconto. In un bel finale di stile western invernale il poliziotto soccomberà ma sarà lo stesso Neruda a riportarlo in vita citandolo in un discorso parigino perché dare un nome e ricordare le vicende è il compito dell’arte nel tramandare la memoria. Il modo con il quale è costruito il film può essere spiazzante ma è anche una modalità che evita di cadere nella agiografia di un personaggio.