Euronote – Salari minimi per la dignità del lavoro

Una proposta di direttiva intende migliorare condizioni di vita e lavoro nell’Ue

Milano, 4.11.2020

Garantire una vita dignitosa ai lavoratori e ridurre la povertà lavorativa in Europa è importante in tempi di crisi, ma diventa essenziale per una ripresa economica sostenibile e inclusiva. È quanto sostiene la Commissione europea con la proposta di direttiva dell’Ue per i salari minimi , che oltre ad avere un impatto sociale positivo permettono di ridurre la disuguaglianza salariale e il divario retributivo di genere, contribuiscono a sostenere la domanda interna e rafforzano gli incentivi al lavoro. «Anche in tempi di crisi la dignità del lavoro è intoccabile, mentre sappiamo che per troppe persone il lavoro non è più remunerativo» ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sottolineando che «migliorare le condizioni di vita e di lavoro tutelerà non solo i lavoratori ma anche i datori di lavoro che offrono retribuzioni dignitose». Attualmente quasi il 10% dei lavoratori nell’Ue vive in condizioni di povertà, percentuale destinata ad aumentare per le ripercussioni della crisi in settori con un’elevata percentuale di lavoratori a basso salario, come pulizie, commercio al dettaglio, sanità e assistenza sanitaria a lungo termine. Ma «chi ha un lavoro non deve faticare ad arrivare a fine mese» ha osservato il commissario europeo per il Lavoro e i diritti sociali, Nicolas Schmit, secondo il quale i salari minimi «devono recuperare terreno rispetto ad altri salari cresciuti negli ultimi decenni».

Un quadro europeo che tuteli i salari minimi

Il diritto a retribuzioni minimi adeguate è sancito nel principio 6 del pilastro europeo dei diritti sociali. Il salario minimo esiste in tutti gli Stati membri dell’Ue: in 21 Paesi esistono salari minimi legali, mentre in 6 (Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia) la protezione del salario minimo è fornita dai contratti collettivi. Nonostante ciò, nota la Commissione, nella maggior parte degli Stati membri i lavoratori risentono dell’insufficiente copertura della tutela offerta dal salario minimo. La  proposta di direttiva mira così a creare un quadro europeo per migliorare l’adeguatezza dei salari minimi e l’accesso dei lavoratori alla tutela del salario minimo nell’Ue. Il tutto rispettando il principio di sussidiarietà: si dovrebbe cioè stabilire un quadro di norme minime che rispetta e riflette le competenze degli Stati membri, l’autonomia delle parti sociali e la libertà contrattuale in ambito salariale. Gli Stati membri non sarebbero quindi obbligati a introdurre salari minimi legali, né sarebbe fissato un livello comune dei salari minimi. Sono previsti miglioramenti nell’applicazione e nel monitoraggio della tutela del salario minimo esistente in ciascun Paese, perché affinché i lavoratori possano beneficiare di un accesso effettivo alla tutela offerta dal salario minimo e le imprese siano protette dalla concorrenza sleale sono necessarie conformità e applicazione efficace. La proposta di direttiva introduce inoltre relazioni annuali degli Stati membri alla Commissione sui dati relativi alla protezione dei salari minimi. «Il dialogo sociale svolge un ruolo cruciale nella negoziazione dei salari a livello nazionale e locale – sostiene il vicepresidente esecutivo per Un’economia al servizio delle persone, Valdis Dombrovskis –. Sosteniamo la libertà delle parti sociali di negoziare i salari autonomamente e, ove ciò non sia possibile, forniamo un quadro per orientare gli Stati membri nella determinazione dei salari minimi».

Ces: proposta positiva, ma va migliorata

La proposta di direttiva sui salari minimi è «un passo positivo» secondo la Confederazione europea dei sindacati (CES), perché rappresenta «l’unico modo per ottenere un cambiamento reale». Tuttavia deve essere migliorata per alcune ragioni, ha osservato la vicesegretaria generale della Ces, Esther Lynch: «La direttiva richiede agli Stati membri di agire per promuovere la contrattazione collettiva e dispone di piani d’azione nazionali per aumentare la copertura se meno del 70% dei lavoratori è coperto da un contratto collettivo. Ma ai lavoratori non è garantita la protezione dalle rappresaglie del datore di lavoro quando entrano a far parte di un sindacato. Inoltre, agli Stati membri è chiesto di promuovere salari minimi adeguati, ma ai lavoratori con salario minimo non sono garantiti gli aumenti salariali». Entrando poi maggiormente nello specifico della proposta, la Ces indica quali dovrebbero essere i principali miglioramenti da apportare alla direttiva. Innanzitutto deve essere inclusa nelle disposizioni legali una soglia al di sotto della quale il salario minimo non può scendere, che dovrebbe attestarsi al 60% del salario mediano e al 50% di quello medio, in modo che non si lascino i lavoratori al di sotto della soglia di povertà. La direttiva include poi un articolo dedicato a come gli appalti pubblici possono essere utilizzati come strumento per aumentare i salari ma, sostiene la Ces, non richiede alle società private di rispettare la contrattazione collettiva come condizione per beneficiare degli appalti pubblici e di altri finanziamenti. Dato che gli enti pubblici nell’Ue spendono circa 2000 miliardi di euro all’anno (14% circa del Pil dell’Ue) per l’acquisto di beni e servizi, secondo la Ces tali fondi dovrebbero essere investiti con aziende che pagano salari equi. I sindacati europei osservano anche che il progetto di direttiva richiede agli Stati membri di adottare un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva nel caso in cui meno del 70% dei lavoratori è coperto da questo tipo di contrattazione (18 Stati membri dell’Ue), ma va specificato che tali piani devono garantire il rispetto del diritto alla contrattazione collettiva e affrontare i problemi reali. Altro punto da correggere riguarda l’eliminazione dell’esclusione dal salario minimo di alcune tipologie di lavoratori, così come ai datori di lavoro deve essere vietato di effettuare detrazioni dal salario minimo. La Ces ricorda inoltre che il salario minimo non esclude dal rischio di povertà i lavoratori in almeno 16 Stati membri dell’Ue e in 6 Paesi i lavoratori stanno peggio di 10 anni fa. Dove sono più bassi i livelli di contrattazione collettiva sono più bassi anche i salari, mentre dal 2000 ben 3,3 milioni di lavoratori hanno perso la contrattazione collettiva.