Politiche fallimentari sulle migrazioni

   La continua «emergenza sbarchi» evidenzia l’approccio miope di Ue e Stati membri

«La crisi umanitaria a Lampedusa è lo specchio di politiche fallimentari» sostiene Amnesty International, commentando i flussi di migranti incrementatisi nelle ultime settimane sull’isola che costituisce l’approdo europeo più vicino alle coste nordafricane. I circa 130.000 sbarchi in Italia nei primi nove mesi del 2023 rappresentano in effetti numeri doppi rispetto allo stesso periodo del 2022 e tripli se raffrontati a quelli del 2021. Tuttavia, a parte il forte calo del triennio 2018-2020, i dati relativi agli anni precedenti (105.000 nel 2017, addirittura 181.000 nel 2016) e, ancora prima, negli anni della cosiddetta Primavera araba, dimostrano come l’arrivo di migranti via mare sulle coste italiane e sull’isola di Lampedusa sia un fenomeno strutturale e non emergenziale. Il fatto che nell’ultimo periodo la maggior parte dei migranti che sbarcano in Italia provenga soprattutto da Libia e Tunisia, cioè due Paesi con i quali l’Ue ha stipulato accordi di collaborazione sul controllo delle migrazioni, non fa che confermare la critica avanzata da Amnesty. Anche perché, a fronte di un aumento delle partenze dalle coste nordafricane, manca ancora un’operazione di ricerca e soccorso coordinata a livello europeo, gli interventi delle Ong continuano a essere ostacolati e alcuni Stati membri, come Germania e Francia, hanno intrapreso iniziative che vanno contro la prospettiva di un impegno comune guidato dal principio di responsabilità condivisa. Su queste basi, osserva Amnesty International, «si annuncia difficile la discussione sul Patto europeo sulle migrazioni, calendarizzata per il prossimo 28 settembre. Nel testo, presentato in bozza già a inizio giugno, l’unica sinergia trovata dai Paesi membri è sulla riduzione degli standard di protezione per le persone in arrivo: si prevede infatti l’istituzione di procedure destinate a causare sofferenza, come la detenzione, anche per mesi, in centri chiusi lungo le frontiere, e la possibilità di respingere verso Paesi giudicati sicuri persone in cerca di salvezza». La prospettiva è dunque preoccupante, secondo Amnesty: «Di fronte alla necessità di ripensare le politiche migratorie in un’ottica di garanzia delle persone e di adesione al principio di responsabilità condivisa, il Patto europeo rischia al contrario di creare maggiore divisione tra Paesi alle frontiere esterne dell’Unione e Paesi interni, e si distanzia sempre più dal concetto di solidarietà e dalla tutela dei diritti».

Manca uno spirito di condivisione europeo
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur-Unhcr) ritiene che l’attuale situazione possa essere affrontata «tornando ad un meccanismo di sbarchi che preveda l’utilizzo di navi con maggiore capacità, che possano alleggerire la pressione su Lampedusa portando le persone soccorse anche in altre aree di sbarco». Si tratta però di una soluzione che «richiede il supporto tempestivo dell’Unione europea in uno spirito di condivisione delle responsabilità e solidarietà con i Paesi di primo approdo», per questo l’Unhcr rinnova la richiesta di istituire un meccanismo regionale concordato per le procedure di sbarco e ridistribuzione per le persone che arrivano via mare.
Molto scettico a proposito dello “spirito di condivisione europeo” un comunicato sottoscritto da oltre 80 associazioni europee e africane impegnate a favore dei diritti umani, tra le quali l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), in cui si osserva con preoccupazione «come i diversi governi europei stiano chiudendo le porte e non rispettino le leggi sull’asilo e i più elementari diritti umani». Inoltre, il piano d’azione annunciato dalla presidente della Commissione europea von der Leyen, durante una visita a Lampedusa, non fa che confermare l’approccio esclusivamente securitario, affermano le associazioni: «Rafforzare i controlli in mare a discapito dell’obbligo di soccorso, aumentare il ritmo delle espulsioni ed intensificare il processo di esternalizzazione delle frontiere… tutte vecchie ricette che l’Unione europea attua da decenni e che si sono rivelate fallimentari, oltre ad aggravare la crisi della solidarietà e la situazione delle persone in movimento». Le organizzazioni chiedono invece «un’Europa aperta e accogliente e sollecitano gli Stati membri dell’Ue a fornire percorsi sicuri e legali e condizioni di accoglienza dignitose. Chiediamo che vengano presi provvedimenti urgenti a Lampedusa e che vengano rispettate le leggi internazionali che tutelano il diritto d’asilo».

Il piano d’azione della Commissione
A metà settembre la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato un piano d’azione in dieci punti «per affrontare l’evoluzione della situazione a Lampedusa e la crescente pressione esercitata lungo diverse rotte migratorie». In sintesi, si prevede un rafforzamento del sostegno all’Italia per gestire l’afflusso di migranti, «al fine di garantire la registrazione degli arrivi, il rilevamento delle impronte digitali, il debriefing e l’indirizzamento verso le autorità competenti». Il sostegno al trasferimento delle persone fuori da Lampedusa, anche verso altri Stati membri, «avvalendosi del meccanismo volontario di solidarietà». Il rafforzamento dei rimpatri, avviando contatti con i Paesi di origine e aumentando il sostegno da parte di Frontex. Istituire «partenariati operativi» con i Paesi di origine e di transito, per contrastare il traffico di migranti e prevenire le partenze. Maggiore sorveglianza di frontiera aerea e marittima, anche attraverso Frontex, e «studio di opzioni per espandere le missioni navali nel Mediterraneo», accelerando inoltre la fornitura di attrezzature e formazione alla guardia costiera tunisina. Misure per «limitare l’uso di imbarcazioni non idonee alla navigazione» e azioni per «contrastare le catene di approvvigionamento e la logistica dei trafficanti». Sostegno per procedure di frontiera rapide, «compreso l’uso del concetto di Paese di origine sicuro, il rifiuto di domande manifestamente infondate, l’emissione di divieti d’ingresso e la loro registrazione nel sistema d’informazione Schengen». Infine, campagne di sensibilizzazione e comunicazione per scoraggiare le traversate del Mediterraneo, cooperazione più intensa con Unhcr e Oim, per garantire protezione e aumentare il rimpatrio volontario, e attuazione del protocollo d’intesa Ue-Tunisia.