Quarto potere

REGIA: Orson Welles SOGGETTO: Herman J. Mankiewicz, Orson Welles  SCENEGGIATURA: Herman J. Mankiewicz, Orson Welles FOTOGRAFIA: Gregg Toland  MUSICHE:  Bernard Hermman MONTAGGIO:  Mark Robson, Robert Wise  INTERPRETI: Orson Welles, Joseph Cotten, Agnes Moorehead, Charles Bennett, Dorothy Comingore PRODUZIONE: Orson Welles per la Mercury Productions   DISTRIBUZIONE:     Cineteca Nazionale – Immagine  DURATA: 119′

 

Charles Kane è un figlio di modesti genitori. Quand’egli è ancora un fanciullo, sua madre eredita una grossa sostanza. Questa deve passare al figliolo che dovrà venire educato, lontano dai suoi, in modo corrispondente alla sua futura posizione. Kane ha avuto dalla sorte ingegno non comune, forte volontà, temperamento vulcanico. Divorato da una straordinaria ambizione, si getta nel giornalismo e ben presto controlla trentasette giornali. Vuol entrare in politica e sta per essere eletto governatore quando un avversario, gettando discredito sulla sua vita privata, riesce a stroncarlo. Divorzio dalla moglie, che qualche tempo dopo muore insieme all’unico figlio, in un incidente automobilistico. Sposa un’oscura cantante, ch’egli ama da un pezzo e, mosso dall’ambizione, vuol imporla al pubblico a suon di dollari; ma non vi riesce, benchè abbia fatto costruire per lei uno splendido teatro. Fa costruire un fantastico castello e vi raccoglie immensi tesori d’arte. Lì si ritira a vivere con la moglie che, mal sopportando quella fastosa solitudine, l’abbandona. Egli muore solo, rimpiangendo la serena povertà e i giochi innocenti dell’infanzia

Un film fondamentale all’interno della storia del cinema sia per le innovazioni tecniche che per il successo avuto e le vicende giudiziarie conseguenti. In merito alle prime da segnalare la frantumazione del linguaggio attraverso l’uso del flashback, la fotografia che utilizza il grandangolo e nuove focali, nuove prospettive con la macchina a terra, ecc. Per quanto riguarda le vicende giudiziarie resta negli annali la causa intestata dall’ editore e imprenditore statunitense William Randolph Hearst che si riconosceva nel personaggio del film.

LA CRITICA

Al suo esordio il ventiseienne O. Welles condensa in un solo film un patrimonio di complesse esperienze tecniche e artistiche, portando a compimento un’intera fase della storia del cinema. Nel suo barocchismo, è un potente spettacolo-riflessione sul capitalismo nordamericano. “Soffre di gigantismo, di pedanteria, di tedio. Non è intelligente, è geniale: nel senso più notturno e più tedesco di questa parola” (J.L. Borges). Regolarmente in testa alla lista dei dieci migliori film del mondo. Con Gregg Toland (fotografia) e Bernard Hermann (musica), Welles fu candidato all’Oscar per il miglior film, la regia e come attore, ma vinse solo quello per la sceneggiatura con Hermann Mankiewicz. Come uno dei giornalisti, compare Alan Ladd (1913-64), peraltro attivo sullo schermo dal 1932. (M. Morandini)

Aveva ventisei anni, Orson Welles, quando girò questo film. Eppure cambiò la storia del cinema. La vicenda della irresistibile ascesa di Charles Foster Kane, magnate della stampa, assomiglia molto a quella di un autentico «monopolista» dell’informazione, William Randolph Hearst. Che infatti si indignò, denunciò, cercò di bloccare la pellicola. Il film è una vera rivoluzione del linguaggio cinematografico. Il taglio delle inquadrature, la collocazione della macchina da presa a terra, l’introduzione del «gioco» della profondità di campo sconvolgono la calligrafia tradizionale (Walter Veltroni)

“Welles è dentro alla situazione americana, al sistema capitalistico americano. Con Citizen Kane ne vede il ‘bene’ e il ‘male’ e li rappresenta dialetticamente, ne dà la rappresentazione forse più esatta, più geniale, che se ne è avuta, perché, dall’altra parte, abbiamo avuto i capitalisti di Dreiser o di Sinclair, che sono dei ‘mostri’ ma tutti d’un pezzo, solo cattivi con i denti di fuori, e abbiamo anche i personaggi ‘positivi’ del ‘buon operaio’ o dell’americano medio, dei James Stuart dei film di Frank Capra, abbiamo un altro tipo che non ci convince nemmeno quella, perché è idealizzata, è troppo semplice o facile per essere vera.  Invece con Welles abbiamo l’impressione di essere entrati più dentro nella questione, nella interpretazione dell’America, di questo suo sfuggire a certi tipi di interpretazioni troppo semplici e schematiche.” (G. Fofi, “L’eroe “negativo” di Orson Welles”, “Quaderni Circolo cinema Vittoria”, 1, 1967, p.31).