Sindacati europei e asiatici uniti contro la precarietà del lavoro

Milano, 16.10.2014
 
Si è aperto oggi a Milano l’ottavo Asean Europe Labour Forum, organizzato come sempre dall’Ituc in occasione del vertice eurasiatico, una due giorni dedicata alla precarizzazione del lavoro, ormai a livello globale uno dei fenomeni più preoccupanti. “Stiamo vivendo anni caratterizzati da evoluzioni rapidissime. Non si può più parlare di un unico modello di sviluppo, ma di una grande contaminazione tra vecchia Europa e nuove economie asiatiche. Quest’evoluzione deve essere governata dai sindacati”, ha sottolineato Roberto Benaglia, segretario regionale Cisl Lombardia, intervenendo ai lavori. “Oggi, in Europa come in Asia, tutele e diritti, anche salariali, sono messi in discussione – ha aggiunto  -.Tutto è più flessibile ma non possiamo evitarlo, non possiamo tornare al ‘900 né al modello fordista. Per questo dobbiamo rischiare e costruire una stagione di nuove tutele puntando a cancellare la precarietà, pur mantenendo la flessibilità”. Nel corso della giornata, i panel tematici hanno impegnato i rappresentanti della dozzina di sindacati, arrivati da Filippine, Giappone, India, Vietnam, Cina, Indonesia, Belgio, Russia, Italia, oltre che dell’Ituc e Etuc. Esponenti di realtà molto diverse tra loro, ma accomunate dal fatto che il 50% della popolazione mondiale attiva ha un lavoro precario, hanno ragionato su possibili strumenti e azioni da mettere in campo e hanno proposto di individuare una definizione comune di “lavoro precario”.
Punto di partenza è stata una prima panoramica sul lavoro precario nell’Asia-Pacifico dove, tra luci e ombre, grazie a una ricerca dell’Ituc si scopre che in Indonesia si stanno introducendo dei paletti all’uso di contatti temporanei e si procede a passo spedito per estendere protezione sociale e previdenza, mentre in Australia e in Nuova Zelanda, spesso dipinte ai ragazzi italiani come la terra promessa per chi cerca lavoro, i contratti a termine non hanno alcun vincolo di durata, di causale, di rinnovo. Lo stesso dicasi per il lavoro in outsourcing, nuova frontiera della precarietà, “perché quando il rapporto è triangolare – ha spiegato Jeff Vogt, consulente legale dell’Ituc – il datore di lavoro si sottrae alle responsabilità. E il risultato è che i lavoratori in outsourcing vengono pagati anche la metà degli altri, a parità di mansioni”. Outsourcing, contratti giornalieri o di tre-sei mesi, quando va meglio, utilizzo di lavoratori autonomi alla stregua dei dipendenti, sono le forme più comuni di precariato nell’Asia-Pacifico, con milioni di lavoratori coinvolti, in alcuni Paesi anche il 30% del totale.