Soldi sporchi

 

Milano, 15.2.2016
 
Regia Sam Raimi Soggetto e Sceneggiatura Scott B. Smith  Fotografia Alar Kivilo Montaggio Eric L. Beason, Arthur Coburn Musiche Danny Elfman Interpreti:  Bill Paxton, Bridget Fonda, Billy Bob Thornton, Brent Briscoe, Jack Walsh Produttore James Jacks, Adam Schroeder Distribuzione (Italia) Cecchi Gori  Durata 121’
 
Insieme ad un amico, Hank e Jacob, due fratelli, vanno nel cimitero della cittadina in cui vivono per portare fiori sulla tomba dei genitori. Sulla strada del ritorno si mettono ad inseguire il cane scappato nella foresta innevata e scoprono che coperto dalla neve c’è un aereo. Dentro, il pilota morto e una borsa con 4 milioni e mezzo di dollari. Il primo impulso è chiamare la polizia e consegnare il denaro ma poi si fa strada un’ipotesi contraria: si possono prendere i soldi, nasconderli fino a primavera e poi, se nessuno avrà reclamato qualcosa, dividerli e spenderli. Così viene deciso, e Hank si porta a casa la valigia con la somma. Ma poi accade che Jacob, che è un po’ ritardato, ferisce Dwight, uno del paese, e Hank lo uccide. Sarah, moglie di Hank, scopre che quei soldi sono il riscatto di un sequestro, e suggerisce al marito di far cadere tutta la colpa sull’amico Lou. Hank e Jacob vanno a casa di Lou che, quando capisce la situazione, cerca di difendersi…
Sam Raimi, regista di culto di film horror, gira qui un film misurato e maturo che dice molto sulla avidità che caratterizza anche persone normali quando sono di fronte alla possibilità di arricchirsi facilmente. Un film sulla moralità delle persone, sulla difficoltà di distinguere il bene dal male magari trovando giustificazioni assolutorie.
 
LA CRITICA
 
Stai tranquillo, dice su per giù Sarah (Bridget Fonda) al marito Hank (Bill Paxton): lo sanno tutti, in paese, che tu non sei un uomo che possa fare le cose che hai fatto. Qui, in questo corto circuito logico, sta il centro di Soldi sporchi. Un centro attorno al quale di continuo gira la macchina da presa, scendendo sempre più verso quella che, alla fine, ha tutta l’aria di valere come un’esplicita ricognizione dell’anima umana. La decisione con cui Sam Raimi ci affonda lo sguardo, in quest’anima, dà al film l’andamento d’un ironico teorema per immagini: un teorema freddo come la neve del Minnesota e abbagliante come il bianco totale che tutto ricopre e nasconde…. (Roberto Escobar Il Sole-24 Ore)
 
Con la sua chiusa dimessa e priva di moralismi, Soldi sporchi è più profondamente amaro dei non pochi film che hanno esplorato il tema dell’avidità (tra i suoi contemporanei, U-turn di Oliver Stone, con il suo finale nel deserto che richiama ovviamente l’archetipico Greed di Stroheim; ma la neve di Raimi capovolge, come per Fargo, i luoghi tipici della giungla d’asfalto e del deserto assolato e scarnificante): a differenza degli altri, Raimi non punisce il suo protagonista ma ne mostra più cinicamente il ritorno alla normalità come se il terribile passato venga razionalizzato e in qualche modo giustificato. Come dice Bridget Fonda al marito, non bisogna preoccuparsi: la neve coprirà tutto, anche le orme compromettenti delle sue sortite criminali. Quella neve ormai sembra aver ricoperto l’intera coscienza della provincia americana. (Stefano Finesi – Offscreen)
 
In un paese innevato del Minnesota, insieme con Jacob (B.B. Thornton), fratello un po’ ritardato, e il suo amico ubriacone Lou (B. Briscoe), Hank Mitchell (B. Paxton), uomo d’ordine, trova in un piccolo aereo coperto dalla neve un borsone con quattro milioni di dollari in biglietti da cento. Decidono di tenerseli, ma tre – di cui due subnormali – sono troppi per mantenere un segreto. Cinque morti ammazzati prima dell’epilogo di cenere. Da un romanzo (1993) di Scott B. Smith, sceneggiato dall’autore, S. Raimi (Samuel Raingivitz, 1960), specialista di film di spavento (la trilogia di La casa) e di horror fantastici, racconta una parabola su uno dei sette peccati capitali – l’avidità (greed), sperone dell’industria – di deprimente e meccanico schematismo, fondata sul principio hollywoodiano della causa-effetto (fai questo, succede quello). A una sceneggiatura che tracima di stereotipi corrisponde una scrittura registica di apprezzabile asciuttezza e di suggestiva ambientazione. Escluso Thornton (il suo Jacob è l’asse morale della storia), gli interpreti soccombono al rigido determinismo dei personaggi. (Morando Morandini)
 

 

Nel candore accecante di distese innevate, Raimi getta via la sua proverbiale ironia e si cimenta con la tragedia. Un film carico di tensione, sostenuto dalle musiche algide e minimali di Danny Elfman, in cui l’essere umano si trasforma in uno spaventoso vaso di Pandora, con i corvi unici spettatori di uno spettacolo di morte, ultimo retaggio di un antico coro. (FilmTv)