Storie dai Cae – Intervista a Giuseppe Uliano

Milano, 23.6.2016
 
 
Dalla rubrica Storie dai Cae  riportiamo l’intervista a Giuseppe Iuliano, responsabile del dipartimento Internazionale della Cisl.
 
 
STORIE DAI CAE
GIUSEPPE IULIANO – RESPONSABILE DEL DIPARTIMENTO POLITICHE INTERNAZIONALI DELLA CISL
 
Giuseppe Iuliano usa spesso il verbo raccontare, quando parla del suo lavoro. “Vogliamo raccontare il sistema delle relazioni industriali… Raccontiamo il sindacato europeo…” E in effetti è un buon narratore, di quelli che, descrivendo il protagonista, ti trasmettono un’idea del contesto. Il tema sono i Cae.
 
Dove è ambientata la storia?
 
Nel mondo post caduta del muro di Berlino. Abbattimento delle dogane, globalizzazione dei mercati. Le multinazionali cominciano a delocalizzare le produzioni dove il costo del lavoro è più basso. Una trasformazione epocale. Di fronte a tutto ciò, si sviluppa un primo tentativo di internazionalizzare l’azione sindacale.
 
Come lo ha vissuto, la Cisl?
 
Se ripenso a quegli anni, la mente va a Belo Horizonte, in Brasile. La Fiat aveva costruito lì un proprio impianto. Lo stesso avrebbe poi fatto in Argentina, in Polonia… Sapevamo che i lavoratori di quel Paese sarebbero stati i meno tutelati. E così creammo un coordinamento transnazionale, e a Belo Horizonte fondammo una scuola di formazione. Proprio di fronte alla sede Fiat. Far crescere il sindacato locale fu la nostra risposta all’espansione dell’azienda. La scuola si chiama “7 de Outubro”, ed esiste ancora. Le tematiche legate a quella esperienza anticipavano di vent’anni i ragionamenti che affrontiamo oggi.
 
Possiamo fare un ulteriore salto di qualità?
 
Direi che dobbiamo. Occorre insistere sulla capacità di contrattare a un livello internazionale. L’obiettivo è creare una multinazionale sindacale. Da questo punto di vista, i Cae si reggono su un’architettura interessante, in grado di elevare la nostra capacità di negoziare. Credo che la rappresentanza dei lavoratori all’interno dei comitati vada rafforzata. Ma questa titolarità, se ottenuta, non può essere esercitata solo dai Cae. Va innanzitutto condivisa con le organizzazioni europee di settore, in un quadro generale che veda anche un ruolo della CES, altrimenti rischierebbe di diventare inefficace. Bisogna migliorare i rapporti tra i soggetti coinvolti. È una questione di equilibri.
 
Come sono i rapporti tra la Cisl e i Cae?
 
Quando riusciamo a creare una relazione tra Cae, Cisl e Federazioni di categoria, otteniamo sempre risultati positivi e comitati che funzionano. Dove manca una sinergia, i Cae mostrano inevitabilmente le loro debolezze. Ci sono aspetti da rivedere. Credo che rimettere mano alla direttiva sui comitati significhi riaprire una stagione spiccatamente progettuale, in cui la contrattazione transnazionale venga riconosciuta dalle istituzioni europee.
 
Difficile immaginare uno scenario del genere.
 
Eppure è già successo. Con Jacques Delors, nella seconda metà degli anni Ottanta. L’allora presidente della Commissione europea inaugurò una fase di dialogo sociale che ha determinato importanti conquiste. Fu una stagione prolifica, in cui la Confederazione Europea dei Sindacati e l’Unione degli Imprenditori Europei siglarono accordi che diedero avvio ai primi cenni di legislazione “europea” sul lavoro. Stiamo parlando del tempo determinato, del part – time, dei congedi familiari… Gli Stati che volevano entrare nell’UE dovevano assumere queste nuove regole nei loro ordinamenti. Oggi dobbiamo far rivivere quel clima, insieme all’idea che lo sviluppo economico debba conciliarsi con un sistema di tutele.