Sulle migrazioni grande ipocrisia

Chiesta un’assunzione di responsabilità agli Stati membri e alle istituzioni europee

L’ennesima tragedia delle migrazioni, con il naufragio avvenuto a pochi metri dalla costa calabrese lo scorso 26 febbraio, ha evidenziato ancora una volta il fallimento della politica migratoria europea. Come ogni volta, di fronte al dramma di decine di vittime si riapre il dibattito su cosa fare per evitare questa carneficina, ma dopo lo sdegno iniziale non succede mai nulla di concreto ed efficace, anzi. Così la strage di migranti continua colpevolmente e in meno di dieci anni il numero di morti e dispersi nel Mediterraneo ha superato i 26.000, già 330 nei soli primi due mesi di quest’anno, secondo il Missing Migrants Project dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim-Iom). Oltretutto, molti naufragi sono “invisibili”, «le barche in pericolo scompaiono senza sopravvissuti» e quindi non vengono registrate, denuncia l’Oim. «È inaccettabile assistere a simili orrori, con famiglie e bambini affidati a imbarcazioni fatiscenti e inadatte alla navigazione. Questa tragedia deve indurre ad agire e agire subito» afferma l’Oim in un comunicato congiunto con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), sottolineando come «nel Mediterraneo la vera emergenza non è quella numerica ma quella umanitaria». Le due organizzazioni delle Nazioni Unite ribadiscono che sono urgentemente necessari meccanismi di salvataggio dell’Unione europea e continuano a chiedere agli Stati di aumentare le risorse e le capacità per far fronte efficacemente alle loro responsabilità: «Questa tragedia dimostra come il fenomeno della migrazione via mare vada affrontato da tutti gli Stati europei con un approccio che guardi di più alle molteplici cause che spingono le persone a fuggire sia dai Paesi di origine sia da quelli di transito in queste condizioni drammatiche, anche attraverso un maggior sostegno umanitario e allo sviluppo». Oim e Unhcr rinnovano quindi l’appello per un accesso più ampio a canali sicuri di migrazione, al fine di «evitare che le persone debbano ricorrere a viaggi pericolosi in cerca di sicurezza, protezione e una vita migliore».

Non si devono confondere cause ed effetti

«Tragedie del genere, già verificatesi in passato, sono destinate a ripetersi ancora perché per prevenirle ed evitarle sono del tutto inefficaci politiche, come quelle ripetute negli ultimi decenni in Italia ed in Europa, che mirino ad impedire le partenze dei migranti o a pattugliare in ottica repressiva le frontiere marittime anche attraverso il finanziamento di Stati e governi che non rispettano i diritti degli individui» denuncia l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), secondo cui va fermata «l’ipocrisia di fingere che il motivo principale delle tragedie nel mar Mediterraneo non sia nelle politiche di chiusura delle frontiere e di esternalizzazione dei confini e del diritto di asilo, ma nei trafficanti di uomini e donne: così volutamente si confondono cause ed effetti, anche di quest’ultima strage, perché è evidente che il traffico di esseri umani è la conseguenza dell’impossibilità di esercitare la libertà di movimento delle persone». Servono invece «al più presto» nuove norme, che consentano a chiunque ne abbia la necessità e i requisiti un ingresso regolare e sicuro mediante procedure semplici e veloci di rilascio di visti d’ingresso per richiesta di asilo o per ricerca di lavoro, sostiene l’Asgi sottolineando come occorra «rovesciare la prospettiva sulle migrazioni: l’Italia e l’Europa si facciano carico delle responsabilità che derivano da un modello di sviluppo che genera povertà, conflitti, guerre e migrazioni anche forzate ed aprano i loro confini dinanzi alla mobilità delle persone».

Quando la morte di centinaia di persone conterà?

«Non possiamo assistere silenti alla morte di decine di persone a causa di un naufragio a poche miglia dalle coste italiane nel tentativo disperato di raggiungere l’Europa per cercare un futuro possibile, spezzato dal drammatico naufragio, che conferma come il Mediterraneo centrale sia tra le rotte migratorie che causano il numero più elevato di vittime, tra cui donne e minori. Non possiamo non chiederci, con indignazione, quando queste morti smetteranno di essere numeri e ci sarà un reale impegno per evitarle». Così si è espressa l’organizzazione internazionale Save the children, sollecitando una urgente «assunzione di responsabilità condivisa tra gli Stati membri e le istituzioni europee, che disponga un meccanismo coordinato e strutturato di ricerca e salvataggio delle persone in difficoltà in mare, agendo nel rispetto dei principi del diritto internazionale, e che si ponga l’obiettivo di garantire vie sicure e legali per l’ingresso in Europa». Nel ricordare come da vari anni si dica che tragedie simili non debbano più succedere, Save the children osserva che quanto accaduto sulle coste calabresi «dimostra ancora una volta che le attuali politiche non sono in grado di affrontare l’arrivo dei migranti in modo strutturato, garantendo salvataggio, assistenza e protezione adeguate». Per questo, l’organizzazione chiede: «Quanti altre vite dovranno essere spezzate prima di una reale assunzione di responsabilità?».

Paesi dell’Ue d’accordo solo sui controlli alle frontiere

«Se queste persone avessero potuto scegliere vie legali e sicure garantite dai governi per attraversare le frontiere, non si sarebbero rivolte a chi organizza questi viaggi pericolosi. Se avessero potuto avere un visto e prendere un aereo non sarebbero morte. Se ci fosse stato un programma di ricerca e salvataggio europeo, forse si sarebbero potute salvare» sostiene l’Arci, esprimendo «lo sdegno e la rabbia per chi in questi anni si è solo occupato di criminalizzare l’immigrazione e coloro che operano per salvare le persone che attraversano il mare per fuggire da guerre e persecuzioni». Invece, come ha dimostrato il Consiglio europeo dello scorso 9 febbraio, in materia di immigrazione i Paesi dell’Ue sembrano trovarsi d’accordo solo sull’inasprimento dei controlli alle frontiere esterne e sulle pratiche per ostacolare gli ingressi. Misure, queste, che se non sono accompagnate dalla contemporanea apertura di canali d’ingresso regolare, non faranno che aumentare i tentativi disperati di cittadini di Paesi terzi di entrare in territorio europeo, con le solite tragiche conseguenze purtroppo ben note.