Un mondo fragile

Milano, 05.10.2015

Premiato a Cannes arriva ora, in poche città comunque, il poetico Un mondo fragile opera del giovane regista colombiano César Augusto Acevedo. Si tratta di un interessante film girato in modo essenziale con pochi movimenti di camera e quindi lento, soprattutto nella prima parte. Ma tale lentezza è necessaria per far capire come sia lenta anche l’agonia di un mondo dove la polvere distrugge la salute e lo sfruttamento l’ambiente. Siamo infatti tra le piantagioni di canne da zucchero della Columbia ed un contadino ritorna al suo pezzo di terra per assistere al figlio ammalato e rivedere la moglie (rancorosa per il suo abbandono), la moglie del figlio morente ed il nipotino. La prima lentissima sequenza girata a camera fissa racconta tutto: il nostro protagonista che cammina lungo una strada sterrata ed un enorme camion che lo sorpassa investendo il paesaggio di una immensa nuvola di polvere. Quella polvere che, mista alle nubi di cenere prodotta dall’incendio per lo sfruttamento delle piantagioni dopo la raccolta, distrugge la vita. Un film dove l’ambiente apocalittico ma fin troppo vero colpisce a fondo. Così come colpèisce lo sfruttamento delle persone, molto vicino al nostro caporalato.
Il film divide gli spettatori per la sua quasi totale assenza di ritmo ma coloro che entrano in questo “realismo magico” ne saranno ampiamente ricompensati.