Cinema e lavoro nel 1973

"LocandinaAnno importante per il cinema italiano che si impone, dal punto di vista qualitativo, con quattro o cinque
tra le migliori pellicole del periodo. Tra queste un film come "La grande abbuffata", uno dei maggiori
successi di critica e di pubblico di Marco Ferreri. Film che ottenne il premio Fipresci a Cannes e una distribuzione internazionale
per la capacità di raccontare la società consumistica attraverso un apologo provocatorio. Tre film italiani, ugualmente importanti,
avevano invece affrontato le vicende storiche sia sotto la veste della fantasia – Amarcord
di Federico Fellini, Oscar per il miglior film straniero – che della ricostruzione
di episodi della vita di "Ludwig" di Wittelsbach, ottocentesco re della Baviera portato sullo schermo da Luchino
Visconti
, od ispirandosi ad un racconto di Tolstoj come hanno fatto i fratelli Taviani con "San Michele aveva un gallo".
Quest’ultimo film andava alle origini del socialismo affrontando il conflitto tra anarchismo e marxismo, due anime del movimento operaio
ottocentesco. Dalle altre parti del pianeta giungevano sui nostri schermi opere che facevano conoscere nuovi autori che sarebbero diventati
importanti nella successiva storia della settima arte come ad esempio l’italoamericano Martin Scorsese con "Mean Streets"
ed il tedesco Wim Wenders nel road movie esistenziale "Alice nelle città". Il cinema di viaggio caratterizzerà il periodo
anche dal punto di vista dell’argomento lavoro ma ne parliamo dopo. Il nuovo cinema tedesco non si imponeva solo attraverso Wenders
ma vedeva importanti riconoscimenti a Cannes per "La paura mangia l’anima" di Rainer Werner Fassbinder. Film importante in
quanto è uno dei primi ad affrontare il tema del razzismo nei confronti degli immigrati extracomunitari. "LocandinaDal quadro generale emerge quindi una stagione cinematografica che non sfugge alla trattazione delle
tematiche sociali, anche per le caratteristiche storiche del periodo. Questo vale anche per il cinema del lavoro che, soprattutto negli
Stati Uniti è, come ricordavamo, cinema di viaggio, mentre da noi è cinema di emigrazione. Tra i film Usa il primo che si affaccia
alla mente è L’imperatore del Nord di Robert Aldrich,
film ambientato negli anni ‘30 durante la grande depressione, tra i disoccupati che si spostano di stato in stato clandestinamente
sui treni merci. Il film racconta la sfida tra Numero Uno, un vagabondo abile nel nascondersi, e Shack, feroce guardiano capace di
uccidere a martellate i vagabondi. Stesso periodo e sempre di vagabondi si tratta, ma trattato in modo scanzonato e non drammatico
nella pellicola di Peter Bogdanovich "Paper Moon". Questa volta si tratta infatti non di disoccupati ma di chi un lavoro se
lo "inventa" come nel caso di un venditore ambulante di bibbie, che si accorda con una bambina per far decollare gli affari. Il film
di Bogdanovich racconta in modo tenero l’arte di arrangiarsi con un occhio alla nostalgia della vecchia America. Ancora vagabondi che
progettano di aprire una stazione di servizio al centro della vicenda raccontata da Jerry Schatzberg ne "Lo spaventapasseri",
film che conquista Cannes mostrando la vita dei drifters, che passano dalle stalle alle prigioni. Insomma, il cinema sociale americano
emigra dalla fabbrica alla strada anche se una qualche riflessione sui disvalori di un industriale tutto concentrato sul lavoro e sul
guadagno è al centro di una bella commedia di John G. Avildsen interpretata da Jack Lemmon qual è "Salvate la tigre". Il titolo
fa riferimento alla tigre come animale in estinzione così com’è il nostro protagonista che si sente inadatto al mondo in cui si trova
a vivere tra persone che non lo capiscono e guai finanziari. Dall’America Latina arriva un bel film di produzione cileno-cubana come
"La tierra prometida" di Miguel Littin. Anch’esso ambientato negli anni ’30 (una costante il ritorno a quel periodo) racconta
della fondazione, da parte di un gruppo di operai licenziati dalle miniere di salnitro, di una comunità agricola tra molte difficoltà
nonostante a Santiago ci sia un presidente socialista. I nostri protagonisti finiranno male. Il film infatti fa riferimento ad un colpo
di stato cileno nel 1932 diventando a modo suo anticipatore dal momento che fu girato durante gli ultimi mesi del governo di Salvador
Allende ma terminato a Cuba proprio a causa del colpo di stato di Pinochet. Per tornare alla fabbrica ed alle lotte operaie bisogna
ritornare in Europa e, curiosamente, in Finlandia dove "Uno sparo in fabbrica" del regista Erkko Kivikovski rappresentò questo
paese in vari festival internazionali. Il film racconta dell’uccisione del padrone in una piccola fabbrica metalmeccanica a seguito
di una dura lotta per salvaguardare 42 posti di lavoro. Antesignano del cinema della crisi aziendale che porta a tagliare i rami secchi,
il film racconta come all’origine del dramma vi sia la spersonalizzazione dei lavoratori trattati come numeri da parte dei burocrati
con conseguente reazione sindacale dopo una trattativa inconcludente che porta a dichiarazioni di sciopero con relative minacce di
serrate. In bilico tra aborti clandestini e lavoro sociale in fabbrica si svolge invece la vita di Roswitha nel film del tedesco
Alexander Kluge
"Occupazioni occasionali di una schiava" mentre una storia d’amore tra una operaia (che si vergogna della sua
condizione sociale) ed uno studente è raccontata dall’ungherese Márta Mészáros in "Senza legami". Il film di Kluge inserisce
la figura del poliziotto aziendale sul quale tornerà successivamente con "Ferdinando il duro" tre anni più tardi. La Germania continua
comunque a fare i conti col suo passato ed, anche quando produce un film avente come protagonista un industriale, indaga sul periodo
nazista e sulle connivenze dell’epoca. Questa avviene nella coproduzione tedesco-israeliana "Il pedone" diretto da Maximilian Schell.
Niente di significativo dalla produzione inglese se si esclude una vicenda fantascientifica sul potere e sulla classe degli eletti
messa in scena da John Boorman in "Zardoz". Dalla Francia invece la segnalazione di due commedie piuttosto amare: "La pendolare"
di Gérard Pirès e "Il montone infuriato" diretta da Michel Deville. La prima affronta il tema della
impossibile sincronizzazione degli orari in una coppia (lei dattilografa svizzera e lui odontotecnico francese) che abita a 50 Km da
Parigi e, a causa delle levatacce per raggiungere il posto di lavoro, non riescono a condividere le proprie vite. "Locandina"ImmagineLa seconda commedia invece
racconta della scalata sociale di un impiegato di banca grazie alle indicazioni di uno scrittore handicappato che lo incita ad usare
il suo fascino da "playboy". Anche in questo tipo di cinema sociale, il nostro paese emerge con due pellicole che parlano di emigrazione.
Si tratta di Pane e cioccolata, bel film di Franco Brusati
interpretato da Nino Manfredi, e Trevico-Torino… Viaggio nel Fiat-Nam di Ettore Scola. Il primo è uno dei più riusciti film sulla dignità degli emigranti (in questo caso
un italiano in Svizzera) mentre il secondo affronta il tema della emigrazione interna nel bel paese con il racconto delle difficoltà
di integrazione e la durezza delle esperienze di fabbrica. Il giovane immigrato Fortunato Santospirito, che da Trevico (Avellino) arriva
a Torino per andare a lavorare alla Fiat è interpretato da Paolo Turco, coprotagonista anche del film con Manfredi. Su di un piano
decisamente più scalcinato, visto che l’emigrazione è di moda, Adriano Celentano interpreta "L’emigrante" di Pasquale Festa Campanile.
Altro tema affrontato dal cinema nostrano nel corso dell’anno quello della ricchezza e del successo. Se ne occupano Alberto
Lattuada
ed Elio Petri. Il primo con la vicenda di un lavavetri che si autoaccusa di un omicidio per finire in prima
pagina e finirà invece in prigione nel film "Sono stato io"; il secondo raccontando lo scontro tra un bancario marxista che deruba
un ricco macellaio nel film "La proprietà non è più un furto". Secondo Petri lo scontro tra il macellaio ed il ladro è una lotta che
è presente in ognuno di noi, in bilico tra gli ideali e la proprietà come "malattia". Il film fu comunque accusato di confusione ideologica
e bollato da Goffredo Fofi come "antimarxista".