Cinema e lavoro nel 1974

Meno ricco dell’anno precedente, ma con qualche pellicola di indubbio interesse, il 1974 è, per alcuni versi, la continuazione di
tematiche sviluppate nell’anno precedente. Ancora qualche riflessione americana sulla depressione degli anni ’30, il proseguimento
della produzione del nuovo cinema tedesco e, in Italia, la riflessione storica dei Taviani e lo sviluppo del cinema di emigrazione
che si concentra sulle relazioni tra settentrionali e meridionali. Tra i film maggiormente significativi vanno però segnalati alcune
pellicole che hanno fatto scuola nel genere come "Chinatown" di Roman Polanski o "Una moglie", di John Cassavetes.
Anche la saga de "Il padrino – parte II" di Francis Ford Coppola si sviluppa diventando sempre più metafora di un
paese in crisi; crisi di una moralità che è anche alla base della rappresentazione della stampa in "Prima pagina", di Billy Wilder.
Dall’America (specificatamente dal Canada) arriva anche il film che ha vinto l’Orso d’oro a Berlino sull’arrampicata sociale di un
ebreo che propone alcune notazioni sull’ambiente economico. Si tratta di "Soldi ad ogni costo", diretto da Ted Kotcheff. Anche
il miracolo economico brasiliano con le sue distorsioni è messo in discussione nel film "Iracema" di Jorge Bodansky. Tra i
film europei, da segnalare la trasposizione della Elettra di Euripide per riflettere su potere e libertà, da parte dell’ungherese Miklós
Jancsó con "Elettra amore mio". Il tema dello sfruttamento è invece presente nella storia d’amore omosessuale girata dal tedesco Rainer
Fassbinder
ne "Il diritto del più forte". Il cinema tedesco si impone anche con "L’enigma di Kaspar Hauser", la vicenda di un
ragazzo ritardato ed abbandonato raccontata da Werner Herzog. "Locandina"LocandinaUn film grottesco, di produzione italofrancese come "Il fantasma della libertà", dimostra come Luis Buñuel sia ancora
ben saldo sulla breccia. Il nostro paese continua a riflettere sulla propria storia sia attraverso "Allónsanfan" di Paolo e
Vittorio Taviani
(sui movimenti rivoluzionari ad inizio ‘800) che l’opera di Ettore
Scola C’eravamo tanto amati, una cavalcata
storica sulla vita italiana dal 1945 al 1974. Un’operazione premiata sia dai festival che dal pubblico, che ne decreta un grande successo
anche al botteghino. E veniamo ai film più strettamente legati al lavoro. Dagli Stati Uniti poche pellicole sul tema: il racconto sulle
condizioni di una famiglia contadina negli anni ’30 (anche qui la ripresa di un periodo e di un tema che aveva caratterizzato l’anno
precedente) ne "Gli emigranti" di Tom Gries, tratto dall’opera di Tennessee Williams ed una commedia sulla carriera criminale
di due fratelli minatori: "I fratelli Dion", di Jack Starrett. Anche un film non molto riuscito su Martin Lutero ("Luther"
di Guy Green) parla della rivolta contadina a seguito delle prediche del nostro protagonista. Tra le produzioni europee si
registrano invece alcuni film di maggior spessore a partire dal sovietico Viburno rosso
di Vasilij Šukšin. Si tratta di una vicenda ambientata in un villaggio dove un
ex ladro cerca di reinserirsi. Il film affronta anche il tema delle difficoltà nel ricostruire i rapporti con il lavoro oltre a quello
dello sradicamento rispetto alle proprie origini. Il polacco Andrzej Wajda risponde con "La terra della grande promessa",
sulla fondazione di una azienda tessile alla fine dell’800. Si tratta di un’opera che ben rende il periodo caratterizzato da un capitalismo
che punta ad accumulare denaro e potere. Uno sciopero che vede il padronato prevalere visto attraverso gli occhi di una famiglia operaia
è alla base del film "Corruzione in una famiglia svedese" di Vilgot Sjöman. Il film non ebbe molto successo da noi e fu più
noto per qualche scena erotica che per l’analisi della lotta di classe. Avvicinandoci al nostro Paese ci soffermiamo sulle produzioni
transalpine dove troviamo alcuni interessati film che parlano di vicende lavorative ed economiche. I problemi del lavoro sono infatti
tra i temi affrontati da tre amici (tra i quali un piccolo industriale interpretato da Yves Montand) che si ritrovano settimanalmente
con le mogli, le amiche ed un giovane pugile. Il film, intitolato in Italia "Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre", è diretto
da Claude Sautet e si avvale di grandi interpreti come Michel Piccoli, Serge Reggiani e Gérard Depardieu, oltre al già ricordato
Montand. La vicenda del finanziere Alexander Stavisky, grande corruttore e titolare di un impero economico è invece il tema che Alain
Resnais
tratta in "Stavisky il grande truffatore". L’opera si caratterizza per la precisione della messa in scena di un personaggio
ambiguo che farà una fine misteriosa. La produzione franco-svizzera "Il difetto di essere moglie" diretta da Claude Goretta
racconta in forma di commedia di un figlio di industriale che, a seguito del fallimento dell’azienda paterna, si dedica alla attività
di rapinatore. E veniamo alla produzione italiana. Ritorna Ermanno Olmi a parlare
di giovani, di lavoro e di speranza nell’ambito della borghesia lombarda. "Locandina"LocandinaIl film si intitola La circostanza. Tra gli episodi raccontati vi
è anche un business game avente lo scopo di eliminare i dirigenti aziendali meno aggiornati: un gioco dove sono in palio le loro teste.
Profetico come sempre il regista bergamasco. I principali film dell’anno che hanno come protagonisti figure operaie sono invece "Delitto d’amore"
di Luigi Comencini e Romanzo popolare di Mario
Monicelli
. Il film di Comencini, sceneggiato da Ugo Pirro, rende conto della tragica
storia d’amore tra Nullo, un operaio lombardo, ed una ragazza siciliana che lavora nella stessa azienda. La tragedia scoppia quando
la protagonista muore intossicata e Nullo decide di vendicarla. Anche Monicelli ambienta il suo film nella realtà industriale lombarda.
La storia d’amore riguarda un operaio milanese ed una donna del Sud, con relativo matrimonio e tradimenti. A differenza di Delitto
d’amore però il film vira verso la commedia, per quanto malinconica, ma non disdegna di sottolineare i problemi legati alla integrazione
culturale tra Nord e Sud ed alla emancipazione femminile. Anche in questo caso il pubblico ne fu conquistato decretandone il successo,
grazie anche alla grande interpretazione di Ugo Tognazzi. Va anche detto che il tema del confronto Nord – Sud allora era pagante visto
che i maggiori successi dell’anno erano nazionali e rispondevano a titoli quali "Il bestione" di Corbucci sui rapporti tra
un camionista lombardo ed uno siciliano, ove Giannini rifà il verso a Mimì metallurgico, e "Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto"
della Wertmüller, sempre con Giancarlo Giannini, che narra del rapporto tra un comunista meridionale di professione marinaio
ed una ricca signora milanese. La stessa Lina Wertmüller esplora l’ambiente proletario milanese in "Tutto a posto e niente in ordine",
film sociologico ambientato in una tipica "cà de ringhiera". Ma i risultati di questi ultimi film sono piuttosto modesti così come
lo è quello di Alberto Sordi, "Finché c’è guerra c’è speranza", su di un mercante d’armi, che pure aveva il merito di occuparsi
di un settore economico moralmente discutibile. Riuscito invece il tragico ritratto di un  contadino che si trova costretto, per
sopravvivere, a raccogliere vermi nei fossati per venderli ai pescatori fino a quando l’inquinamento non rende vana anche questa attività.
Il film risponde al titolo di "Vermisàt" ed è l’opera prima di Mario Brenta ma, a differenza degli altri, quasi nessuno si
accorge della sua uscita nelle sale.