Fuori dall’Ue ad ogni costo

Il problema della esternalizzazione dei controlli dei flussi migratori verso l’Ue

Nel corso degli ultimi anni in Libia «sono stati commessi crimini contro l’umanità su migranti in luoghi di detenzione sotto il controllo della Direzione libica per la lotta alla migrazione illegale, della Guardia costiera libica e dell’Apparato di sostegno alla stabilità. Queste entità hanno ricevuto supporto tecnico, logistico e monetario dall’Unione europea e dai suoi Stati membri per l’intercettazione e il rimpatrio dei migranti». È quanto ha scritto nel suo Rapporto finale la Missione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite sulla Libia, istituita nel giugno 2020 dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu per indagare sulle violazioni e gli abusi dei diritti umani dall’inizio del 2016, che ha svolto nel Paese 13 ispezioni, condotto oltre 400 interviste e raccolto più di 2.800 informazioni, comprese immagini fotografiche e audiovisive. La Missione ha reso noto di avere «ragionevoli motivi» per ritenere che crimini contro l’umanità siano stati commessi contro libici e migranti in tutta la Libia nel contesto della privazione della libertà. In particolare, ha documentato e compiuto accertamenti su numerosi casi di detenzione arbitraria, omicidio, tortura, stupro, riduzione in schiavitù, schiavitù sessuale, uccisione extragiudiziale e sparizione forzata, confermando la loro pratica diffusa.

L’Ue ha fornito supporto monetario e tecnico alla Libia

Nel Paese il numero di migranti è in aumento dal 2021 e attualmente si stimano nell’ordine di 670.000 provenienti da oltre 41 Paesi. La Libia, osserva la Missione dell’Onu, funge infatti da punto di partenza e Paese di transito per molti migranti diretti in Europa. La maggior parte di quelli intervistati dagli inviati dell’Onu ha «condiviso resoconti di un ripugnante ciclo di violenza», iniziato con l’ingresso in Libia, spesso con il coinvolgimento di trafficanti, seguito poi dalla loro cattura e da trasferimenti ripetuti in luoghi di detenzione, ufficiali o non ufficiali, senza ricorrere al controllo giudiziario. In questi luoghi i migranti sono stati presi di mira e «ci sono prove schiaccianti che siano stati sistematicamente torturati» sostiene il Rapporto, secondo cui «vi sono ragionevoli motivi» per ritenere che sia stata perpetrata contro i migranti anche la schiavitù sessuale, un crimine contro l’umanità, così come la discriminazione razziale è stata «una corrente sotterranea persistente in tutti i casi documentati». Pratiche e gravi violazioni che «continuano senza sosta», dal momento che la Missione non ha riscontrato passi significativi per invertire questa situazione. Anche perché, ha sottolineato, la tratta, la riduzione in schiavitù, il lavoro forzato, la detenzione, l’estorsione e il traffico di migranti vulnerabili «hanno generato entrate significative per individui, gruppi e istituzioni statali e hanno incentivato la continuazione delle violazioni». E tutto ciò avviene con il supporto dell’Ue e dei suoi Stati membri che, direttamente o indirettamente, «hanno fornito supporto monetario e tecnico e attrezzature, quali imbarcazioni, alla Guardia costiera libica e alla Direzione per la Lotta alla migrazione illegale utilizzati nel contesto dell’intercettazione e della detenzione di migranti» afferma il Rapporto, ricordando come il controllo dell’immigrazione da parte della Libia e degli Stati europei deve invece essere esercitato in conformità con i loro obblighi di diritto internazionale, in particolare il principio di non respingimento, e in conformità con il Global Compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare. Per questo, sostiene l’Onu, nei confronti delle autorità libiche deve essere attuata urgentemente dall’Ue e dai suoi Stati membri una «rigorosa politica di due diligence sui diritti umani», invitati quindi a «cessare ogni sostegno diretto e indiretto agli attori libici coinvolti in crimini contro l’umanità».

Esternalizzazione dei controlli alle frontiere

Ma le ambigue e ciniche relazioni con le autorità libiche per il “controllo” dei migranti provenienti da Paesi terzi, nel tentativo di evitare che raggiungano le coste e il territorio europeo, non sono certo le uniche messe in atto dall’Ue e dai suoi Stati membri negli ultimi anni. Si pensi al rapporto con la Turchia, formalizzato con l’accordo del 2016 per l’intercettazione e il rimpatrio dei migranti, che in una quindicina d’anni si stima abbia portato oltre 10 miliardi di euro dall’Ue alle autorità turche, senza peraltro seri controlli su come sono stati impiegati tali fondi né tantomeno sul rispetto dei diritti dei migranti.
In questa strategia dell’Ue di esternalizzare i controlli alle frontiere, appaltando a Paesi che si trovano al di fuori dei confini dell’Unione il contenimento dei flussi migratori verso l’Ue, recentemente è emerso un nuovo fronte. Su pressanti richieste di alcune Ong europee le istituzioni dell’Ue hanno reso noto un piano siglato nel febbraio 2022 dai ministri degli Interni di 20 Paesi dell’Ue e dalla Svizzera con 6 Paesi balcanici. Si tratta dell’istituzione di un Meccanismo regionale di rimpatrio per la rotta balcanica, per aumentare il numero di rimpatri di cittadini giunti da Paesi terzi sul territorio di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, prima che queste persone possano giungere alle frontiere esterne dell’Ue per richiedere protezione internazionale. Tale Meccanismo, si legge nel documento, dovrebbe facilitare «la rapida corrispondenza dei bisogni e la possibile assistenza al rimpatrio, promuovere il rimpatrio volontario e sostenere l’attuazione di rimpatrio non volontario di migranti che non necessitano di protezione internazionale».
Secondo l’organizzazione Statewatch «gli impegni trovano eco nel recente piano d’azione della Commissione europea sui Balcani occidentali, che promette di “aumentare l’azione dell’Ue per intensificare i rimpatri dai partner dei Balcani occidentali”. Tuttavia, il piano d’azione non fa menzione del meccanismo di rimpatrio regionale o dei partenariati per il rimpatrio approvati a febbraio». La crescente cooperazione e la spesa per esternalizzare il modello di gestione integrata delle frontiere dell’Ue a Paesi terzi «non sono state accompagnate da una maggiore trasparenza, nonostante i diritti umani e le implicazioni di bilancio di tali sforzi» sostiene Statewatch, secondo cui «la necessità di proteggere le relazioni internazionali e proteggere la sicurezza pubblica è spesso invocata per garantire il segreto sull’attuazione di iniziative che cercano di rafforzare i poteri coercitivi di Stati terzi in modi che possono danneggiare sia i migranti che i cittadini».