Italiani

Milano, 3.2.2015

Regia Maurizio Ponzi Sceneggiatura Maurizio Ponzi, Luigi Guarnieri, Melania Grazia Mazzucco Fotografia Maurizio Calvesi Montaggio Sergio Montanari Musiche Bruno Zambrini Scenografia Virginia Vianello Interpreti e personaggi Giulio Scarpati: Ulisse, il ferroviere Vanessa Gravina: Angelica Giuliana De Sio: Margherita Maria Grazia Cucinotta: Maria, Donatella Claudio Bigagli: Don Vincenzo Ivano Marescotti: Furio, il ricco industriale Marco Leonardi: Fortunato Claudio Botosso: Nino (da adulto) Roberto Citran: Leonardo, lo scrittore Lorenzo Crespi: Gaetano, l’aspirante poliziotto Alberto Rossi: Ferroviere giovane Tiziana Lodato: Agata Durata 99 min

Negli anni ’60, da Palermo parte un treno per Milano con molti viaggiatori. Sul convoglio vi è il gruppo familiare dei Salemi (il padre Rosario ha già da tempo duramente lavorato a Milano e torna là con la moglie Assunta, il figlio Nino decenne e l’adolescente Agata). Nel compartimento due giovani siciliani, molto diversi fra loro, le fanno un po’ di corte: Fortunato, accattivante giovane, con molta voglia di darsi da fare e tanto ottimismo, e Gaetano, aspirante poliziotto. Poi c’è Maria, calabrese, incinta, e c’è Carmelo, un aspirante attore (che scenderà a Roma), poiché in treno ha trovato uno strano, attempato signore, il quale a suo dire nel mondo del cinema è bene introdotto. In più c’è nello scompartimento un silenzioso sacerdote, don Vincenzo. L’atmosfera è cordiale: aleggiano illusioni e timori; qualcuno ha già deciso di non tornarci più; altri nutrono qualche nostalgia. Poi Maria è presa dalle doglie: l’aiuta Margherita un’infermiera catanese della prima classe, dove ha conosciuto Leonardo, maestro elementare che va in Piemonte a parlare con un editore interessato al suo primo libro. Una bambina (Donatella) vede la luce, mentre fiorisce l’amore tra Leonardo e Margherita. Nel vagone-letto c’è Furio Caselli, industriale lombardo, con il tredicenne figlio Edoardo, il quale scopre che in un’altra cabina viaggia Angelica, la giovane amante del padre. Tra il personale spicca Ulisse, il conduttore, soddisfattissimo del suo lavoro (adora i treni). ” proprio Ulisse che, nell’incrocio del treno con un altro convoglio più moderno (venti anni dopo e verso Palermo), “vede” se stesso invecchiato nel proprio servizio. Così appaiono il suo volto, più stanco e deluso e quasi tutti gli altri: don Vincenzo che è diventato vescovo; Donatella che è ormai una donna; Agata che è diventata la moglie disamorata ed inasprita del poliziotto Gaetano anche perché lei non ha mai smesso di amare Fortunato; Nino che appare adulto in divisa da ferroviere; Angelica diventata non solo segretaria di Furio ma addirittura l’amante del figlio Edoardo. Ma la visione dei destini di ciascuno – apparsa dietro i finestrini del secondo convoglio – scompare presto. Tutto – illusioni e delusioni, successi e disincanto – deve ancora accadere.

I sacrifici degli emigranti, il posto di lavoro sicuro nella polizia, un industriale, un cuccettista innamorato del suo lavoro sono alcuni personaggi di questo film girato su due treni a distanza di oltre 20 anni e che racconta i sogni e le delusioni in questo fil corale solo parzialmente riuscito

LA CRITICA
D’accordo che gli sceneggiatori (tra cui lo stesso Ponzi) hanno voluto costruire un sistema narrativo a forte chiusura simbolica, ma vedere la Cucinotta che fa (con i capelli corti) la figlia della Cucinotta precedente, Scarpati coi baffi finti e tutti gli altri truccati, o sostituiti dalla loro “versione adulta”, sfiora lo stesso il comico involontario. Quel che colpisce, però, è la visione nera che emana da Italiani, vera “compilation” di delusioni, scelte sbagliate, amari compromessi e fallimenti esistenziali. Citran, che è corso dietro al treno come Monty Clift in “Stazione Termini”, e la De Sio hanno perduto l’occasione sentimentale della loro vita; tra i due giovani conosciuti nel primo viaggio, la figlia degli emigranti ha sposato quello sbagliato; il rampollo dell’industriale ha soffiato l’amante a papà e via sputtanandosi la vita. Invecchiato, Ulisse osserva deluso e stanco un’Italia su cui il cielo è sempre più nero. ( La Repubblica, Roberto Nepoti, 17/3/96)

Abile nell’inventarsi lo spazio drammaturgico nei vagoni del convoglio in movimento, Italiani non riesce a farsi commedia corale alla Germi (o alla Tornatore) per il didascalismo e il populismo di maniera di cui, volenti o nolenti, sono portatori i personaggi. (Il Mattino, Valerio Caprara, 11/3/96)

Italiani. Ma sarebbe il caso di dire “italianità”. Perché il film – confezionato con gran cura – è un astuto concentrato di personaggi e situazioni, d’umori e temperamenti nazionali, di Postino e di Nuovo cinema Paradiso, di cinema alla “Tornatores”, secondo la definizione coniata, una volta, da Goffredo Fofi, è indubbio che d’Italiani dà noia proprio la pianificazione (calcolata e funzionale) nel ricapitolare immagini-amalgama, calligrafiche, enfatiche, divulgative, dell’Italia e del suo cinema. Ninnoli di coralità neorealista, profumi di on the road tra Germi e Amelio, bignamini di volti e maschere della commedia, sortiscono un effetto di estraneità emotiva, di commozione a comando. E se indiscutibile (e non da ora) è il talento di Maurizio Ponzi – regista colto, sensibile, eclettico -, il suo film ha esiti stranamente spettrali, opachi più che strazianti. E i bravi attori, diretti a fasi alterne (un po’ impostata la De Sio, nel cliché “pop” la Cucinotta, professionale Scarpati, bravissimo Luigi M. Burruano), sembrano incarnare fantasmi, ombre, effigi d’un cinema perduto che non c’è (più). (Il Messaggero, Fabio Bo, 11/3/96)

A un certo punto il film apre una parentesi nella quale i personaggi appaiono come saranno vent’anni dopo, vinti oppure appagati, comunque diversi; poi la chiude tornando al racconto precedente. Il gioco di combinazione e scomposizione temporale è quello ideato dal drammaturgo inglese J.B. Priestley nel suo testo teatrale del 1937 Il tempo e la famiglia Conway; personaggi e vicende sono spesso di carta, artificiosi e schematici, banali e banalmente narrati; gli interpreti, anche quelli poco bravi, sono simpatici. (La Stampa, Lietta Tornabuoni, 8/3/96)

Uno spaccato di vita. Un viaggio dei sogni, dal sud al nord. E della delusione, dopo anni, dal nord al sud. Una visione triste perciò considerando l’oggi. Un treno migliore però le persone hanno perso i loro sogni (Letture 527 – Maggio 1996)