Migrazione e asilo: un Patto ancora sulla carta

L’Europarlamento cerca di accelerare l’intesa sulle nuove norme europee

Sono trascorsi ormai circa due anni e mezzo da quando la Commissione europea presentò il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo nell’Ue, con l’obiettivo di affrontare l’interdipendenza tra le politiche e le decisioni degli Stati membri. Procedure più efficienti avrebbero dovuto garantire chiare responsabilità, ai vari livelli, contribuendo a migliorare la fiducia tra i Paesi dell’Ue e fornendo maggior chiarezza nei processi chiave delle migrazioni. Di fatto, però, le resistenze a cedere sovranità su immigrazione e asilo da parte degli Stati membri e le diverse visioni in materia hanno finora bloccato l’adozione degli elementi più innovativi del Patto, lasciando la situazione in linea di massima invariata. Ora, per rilanciare il percorso di riforma normativa, il Parlamento europeo ha approvato i mandati negoziali interistituzionali con i co-legislatori del Consiglio dell’Ue e deciso così di avviare i colloqui con gli Stati membri su diversi dossier relativi alle politiche di migrazione e asilo. Il Parlamento e le presidenze di turno del Consiglio si sono impegnati a collaborare per adottare la riforma delle norme dell’Ue in materia di migrazione e asilo prima delle elezioni europee del 2024, quindi non resta molto tempo e l’anno in corso sarà decisivo a tale proposito.

Servono nuove regole su asilo e migrazione

Tre dei dossier approvati dagli eurodeputati per i negoziati interistituzionali fanno parte della tabella di marcia concordata dai co-legislatori nel settembre 2022: regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione, regolamento sullo screening e regolamento per le crisi e le cause di forza maggiore.

Per quanto concerne l’atto legislativo centrale del pacchetto asilo e migrazione, il regolamento stabilirà come Ue e Stati membri agiranno congiuntamente per gestire la materia, introdurrà nuovi criteri per determinare la responsabilità dei Paesi nel trattamento di una domanda d’asilo (i cosiddetti criteri di Dublino) e l’equa ripartizione delle responsabilità. È previsto anche un meccanismo di solidarietà vincolante per assistere i Paesi che subiscono pressioni migratorie.

Le regole sullo screening si applicheranno alle frontiere dell’Ue ai cittadini di Paesi terzi che non soddisfano le condizioni di ingresso di uno Stato membro dell’Ue. Comprendono l’identificazione, il rilevamento delle impronte digitali, i controlli di sicurezza e la valutazione preliminare dello stato di salute e della vulnerabilità. Gli eurodeputati hanno poi aggiunto un meccanismo di monitoraggio sul rispetto dei diritti fondamentali che si applicherà anche alla sorveglianza delle frontiere.

Saranno avviati negoziati interistituzionali anche sul regolamento relativo ad arrivi improvvisi e massicci di cittadini di Paesi non-Ue che determinano una situazione di crisi in un determinato Stato membro e che, sulla base di una valutazione della Commissione, comporterebbe trasferimenti obbligatori e deroghe alle procedure di screening e di asilo.

L’Europarlamento ha anche approvato il mandato negoziale per le modifiche all’attuale direttiva sui residenti di lungo periodo nell’Ue, prevedendo un’accelerazione della concessione dei permessi di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo dopo 3 anni di residenza legale e la possibilità di integrare le persone che godono dello status di protezione temporanea. I residenti di lungo periodo, inoltre, dovrebbero avere il diritto di trasferirsi in un altro Paese dell’Ue senza restrizioni lavorative e lo stesso status dovrebbe riguardare i loro figli.

I mandati negoziali sulla direttiva relativa ai soggiorni di lungo periodo e sulla direttiva per il rilascio di un permesso unico di soggiorno e lavoro devono però essere ancora adottati dal Consiglio dell’Ue.

Come favorire l’immigrazione legale

L’Ue ha la necessità di introdurre norme che favoriscano l’immigrazione legale, per motivi umanitari ma anche demografici ed economici. Il costante invecchiamento della popolazione, ad esempio, si stima che porterà entro il 2050 a una situazione in cui i pensionati rappresenteranno circa un terzo della popolazione dell’Ue, con significative conseguenze sia a livello sociale che economico.

Così, con la direttiva sulla Carta blu, che entrerà in vigore alla fine del 2023, l’Ue intende attrarre lavoratori altamente qualificati. Si tratta infatti di un permesso di lavoro e di soggiorno della durata di quattro anni, rinnovabile, che consente ai cittadini di Paesi terzi di lavorare e risiedere in un Paese dell’Ue, a patto di essere in possesso di un diploma o di un titolo equivalente e un’offerta di lavoro che comprenda una soglia salariale minima.

Ci sarà poi la possibilità di un permesso unico per coloro che non hanno i requisiti per richiedere la Carta blu, permesso che potrà essere rilasciato dal Paese dell’Ue dove il cittadino di un Paese terzo lavorerà e andrà a vivere e potrà avere validità di due anni. La versione aggiornata del permesso unico dovrebbe prevederne l’applicazione a quasi tutti i lavoratori di Paesi terzi e alle loro famiglie, agli studenti lavoratori, ai lavoratori stagionali e ai rifugiati, ma non ai richiedenti asilo.

Infine lo status di soggiornante di lungo periodo, che permette di soggiornare e lavorare nell’Ue per un periodo indefinito. Introdotto nel 2003 è ora in fase di revisione: l’Europarlamento vuole ridurre la durata dell’obbligo di soggiorno necessario per potersi qualificare da 5 a 3 anni e includere i rifugiati e gli altri gruppi di persone che affrontano barriere. Le nuove norme garantirebbero la parità di trattamento con i cittadini dell’Ue in settori come l’occupazione, l’istruzione e le prestazioni sociali, mentre il medesimo status verrebbe esteso ai figli.

Il Parlamento europeo chiede inoltre il riconoscimento delle qualifiche dei lavoratori migranti, ma la scelta sul riconoscimento delle qualifiche acquisite al di fuori del territorio dell’Ue è di competenza dei singoli Stati membri. Secondo Eurostat, nel 2019 il 48% dei migranti altamente qualificati lavorava in posti di lavoro con qualifiche medie o basse, mentre a segnalare carenze di manodopera erano il 62% delle aziende di programmazione informatica e il 43% delle aziende di costruzioni.