Padre e figlio

Milano, 11.7.2014
 
 
REGIA: Pasquale Pozzessere SCENEGGIATURA: Pasquale Pozzessere, Roberto Tiraboschi FOTOGRAFIA: Bruno Cascio MONTAGGIO: Carlo Valerio ATTORI: Michele Placido, Stefano Dionisi, Giusy Consoli, Claudia Gerini, Luciano Federico, Carlotta Jazzetti, Enrica Origo, Mauro Pirovano, Francesco Origo, Antonio Campa, Bruno Pescia, Giorgio Vecchio, Michele Castellano, Luciana Sandri, Aldo Mantero PRODUZIONE: Angelo Rizzoli per Erre Cinematografica, Reteitalia, Flach Film (Parigi), K2 Two (Brusselles) DISTRIBUZIONE: D.A.R.C. – Videopiu’ Entertainment, Multivision
 
 
La storia si svolge a Genova, un tempo madre della nostra storia industriale, oggi vittima dei processi di riconversione. Corrado è un meridionale di cinquanta anni giunto a Genova agli inizi degli anni ’60. Ex operaio, l’uomo ora lavora come guardiano notturno in un deposito al porto e vive con la seconda moglie, Angela, dalla quale ha avuto una bambina, Anna. Il figlio maggiore, Gabriele, di ritorno dal servizio di leva, si ritrova senza alcuna prospettiva per il futuro. L’impegno del padre nell’avviarlo al lavoro in una fabbrica e la sua delusione di fronte alla superficialità con cui il figlio si fa licenziare, accresce tra i due l’incomprensione. Gabriele si affida all’ebbrezza della moto e alla scorciatoia dei guadagni illeciti. Tra padre e figlio non c’è storia, non c’è memoria né solidarietà, eppure Corrado non vuole perdere l’ultima speranza di ristabilire un contatto vero con il figlio…
 
Un film sulle crisi relazionali e morali girato 20 anni fa che già anticipava quello che sarebbe stato il disastro italiano
 
CRITICA
 
“La riconferma, insomma, di un regista; che però ha ancora bisogno di uno sceneggiatore. I protagonisti sono Michele Placido e Stefano Dionisi: il primo volontariamente affidato quasi ad una espressione sola, torva e crucciata, il secondo intento invece ad una ricca mobilità di accenti (perfino nelle proposte, di echi genovesi nella parlata), pronto a disegnare con nettezza sia gli impeti e le collere sia le riflessioni e i cedimenti; con talento che, da Verso Sud in poi, matura ad ogni film.” (Gian Luigi Rondi, ‘Il Tempo’, 17 Aprile 1994)
 
“Placido e Dionisi incarnano perfettamente i personaggi, distinguendoli nell’accento, il primo conservando inflessioni del dialetto meridionale, il secondo parlando già genovese, da buon oriundo della nuova generazione. E va detto che il talento, il mimetismo e la dedizione dei due interpreti sopperiscono in una certa misura alle carenze di un copione che per mantenersi sottotono d’ellittico rappresenta rispetto al film ciò che la siopia è per l’affresco: un tracciato a tratti troppo pallido. In una scansione impressionistica di scene grevi, con tagli brillantemente decisi; non sempre convince la necessità o la collocazione di questo o quel frammento. Tale timidezza drammaturgica può tuttavia rivelarsi un pregio, quando serve a evitare l’ovvio e il già detto. Il rischio è che il dramma popolare, sublimato in una forma aristocratica un po’ reticente, finisca per scaricarsi nel procedere del racconto anziché montare verso il culmine catartico della scena madre. Tra le suggestioni di un cinema di alta scuola e gli stimoli della confusa realtà presente, Pozzessere è ancora un autore alla ricerca, però, ‘Padre e figlio’ ci sembra un notevole passo avanti rispetto al buon esordio di ‘Verso Sud’. Abbiamo un altro regista che conta nella schiera dei nostri migliori.” (Tullio Kezich, ‘Il Corriere della Sera’, 16 Maggio 1994)
 
“Basta fare qualche calcolo di date per contestualizzare i personaggi nel quadro delle travagliate vicende del nostro Paese: di certo Corrado, ex combattente di prima fila all’epoca della Contestazione, non si raccapezza bene dopo la caduta dei muri e delle ideologie; mentre Gabriele, che appartiene alla generazione cresciuta nei consumistici anni Ottanta, preferisce vivere alla giornata come ben emblematizzano le sue corse in moto, i furti di auto e la relazione con un transessuale. Contrapponendo un padre e un figlio nel paesaggio di una Genova vulnerata e vibrante che è assai più di un semplice sfondo, Pozzessere racconta l’Italia al bivio che rinnega il suo passato e non trova il suo futuro. Lo fa puntando la macchina da presa sulla classe operaia, che il cinema di oggi trascura; e lo fa con sensibilità, passione e un grintoso piglio di regia. Peccato solo che il film scelga una via troppo ellittica e allusiva per sviluppare adeguatamente un dramma tutto interiore (…).” (Alessandra Levantesi, ‘La Stampa’, 6 Maggio 1994)
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Seconda opera per Pasquale Pozzessere che rispetto a Verso sud compie notevoli progressi. Solo nella seconda parte la sceneggiatura rivela dei punti deboli. La regia è diventata sicura e le interpretazioni sono buone. Soprattutto quella di Michele Placido. Tratta del difficile rapporto tra un figlio tornato dal servizio di leva e il padre, che lavora al porto di Genova. L’uomo, che ai suoi tempi ha partecipato attivamente alla lotta operaia, vorrebbe che il figlio lavorasse in fabbrica. Ma il ragazzo è a disagio e comincia a sbandare. Ruba auto, chiedendo piccoli riscatti, e finisce in carcere. Conosce un transessuale e ne diventa amico. Decide di andarsene per un lungo viaggio e cerca di rubare i soldi in casa. In un finale drammatico padre e figlio finiranno col sedersi attorno a un tavolo e probabilmente nascerà un dialogo. (Tiziano Sossi  – MyMovies)
 
Tornato dal servizio militare, Gabriele trova un lavoro grazie al padre Corrado, ex operaio dell’Ansaldo di Genova. Gabriele però litiga con il caporeparto e viene licenziato. Questo fatto riacutizza i dissapori tra padre e figlio. Gabriele trova lavoro in una sala giochi dove conosce Valeria, un transessuale. Per partire con lei tenta di rubare in casa del padre che lo sorprende. I due hanno una violenta colluttazione, ma poi sembrano riappacificarsi. Al suo secondo film dopo “Verso Sud” Pozzessere dimostra di appartenere di diritto alla schiera dei giovani registi emergenti. Il suo è uno sguardo oggettivo che va oltre i nodi della sceneggiatura. (FilmTv) 
 

 

Corrado è un ingrigito operaio dell’Ansaldo, emigrato dal Sud, già pugnace sindacalista, che sopravvive come guardiano notturno al porto di Genova. Suo figlio vive tra malessere sociale, sensualità ingorda e senso di inappartenenza e riluttanza al “lavoro di merda” in fabbrica. Lo spigoloso rapporto tra padre e figlio è l’asse portante della storia: personaggi raccontati con lucidità critica, rispetto e simpatia, nonostante i limiti di sceneggiatura (scritta con Roberto Tiraboschi) con le sue rigidità ideologiche e dimostrative. P. Pozzessere ha sensibilità, attenzione ai particolari, occhio, ma difetta ancora di quell’energia che permette di caricare di emozione le immagini. E strano che un pugliese di Taranto, con sapienza amorosa, sia riuscito a fare un film così ligure, aggrappato alla terra e pur così disponibile al mare, alla fuga, all’avventura. (M. Morandini)